Real Life Hotel Stories: The Royal
A shallow empty fountain nearly blocks the entryway. A clumsy cement mermaid raises her mildewed arms in supplication. The hotel's name is hard to live up to. Impossible, in fact.
The small gloomy lobby was imbued with an unguent reek of cabbage soup and cat urine. The bell on the counter stubbornly refused to ring. "Anyone home?"
A middle-aged woman in a threadbare housecoat trundled out of the near-darkness behind the reception area. She requested documents, and revealed that crucial teeth were missing from her wrinkled mouth. Her breath was lost in the oily miasma.
The stairwell stank too. The glossy paint had broken out in bladders and pustules.
The room was surprisingly spotless, and odor-free. The window opened to frame a stretch of Tyrrhenian Sea and an industrial port. The bathroom was spacious and warm, the bed large and firm. The TV set was bracketed to the wall in such a way that it could actually be viewed by those lying supine before it.
We went out for the evening
The woman who let us back in after midnight was a dark-clad toothless crone. She wished us a friendly goodnight, handed over the key and slithered back into the tenebrous ground-floor dwelling she shared with her daughter.
Breakfast wasn't included, or provided. Cabbage soup with cat urine was too precious to share.
The young woman who manned the reception desk in the morning emerged from her cellphone's spell to give directions to the nearest coffee house. Her left incisor was missing.
The cabbage soup fug remained firmly in place when we vacated the room. The cats stayed out of sight, their mouths shut. Their eyes reflected the glimmer of a TV set eternally on, the sound barely perceptible.
***
Cronaca vera d'hotel: Il Royal
Una fontana vuota ostacola l'ingresso. Una goffa sirena di cemento alza le braccia ammuffite in supplica. Il nome dell'hotel è pesante. Troppo, in questo caso.
Nella piccola lugubre hall incombeva un tanfo di zuppa di cavoli e orina di gatto. Il campanello sul banco della reception non funzionava. "C'è qualcuno?"
Una signora di una certa età vestita di una lisa vestaglia uscì lentamente dall'oscurità. Ci chiese i documenti, rivelando una bocca piena di lacune. Il suo alito si perse tra i brodosi vapori.
Pure la tromba delle scale puzzava. Pustole e vesciche ne deformavano la verniciatura.
La stanza invece era antisettica e inodore. La finestra si apriva, incorniciava uno stralcio di Tirreno e una fetta del porto industriale. Il bagno era ampio e caldo, il letto spazioso e sodo. La tivù era fissata al muro in una posizione dalla quale era possibile guardarla sdraiati a letto.
Uscimmo per fare la nostra serata.
La donna che ci fece entrare dopo la mezzanotte era una megera sdentata vestita di scuro. Affabile, ci porse la chiave, augurò una buona notte e torno strisciando nei truci vani che condivideva con la figlia.
La colazione non era inclusa, né una possibilità. Zuppa di cavolo con piscio di gatto era troppo preziosa da condividere. La giovane alla reception di mattina emerse dall'incantesimo del suo telefonino per indicarci il bar più vicino. Le mancava un incisivo.
Il puzzo di cavoli permase quando lasciammo lo stabile. I gatti si tennero in disparte, le bocche chiuse. I loro occhi riflettevano i bagliori di una tivù sempre accesa, con il suono appena percettibile.