Flophouse Royalty
The clerk looked up when the entrance door buzzed. Rough customers came into the hotel fairly often, and occasionally cops who were looking for someone. A woman walked in out of a faraway and impossible dream. A faint perfume caught up with her at the reception counter.
“Do you have a free room?” she asked, in near-flawless American.
“Well, our rooms are cheap--real cheap, especially for someone like you, I bet--but they’re not free.” The clerk gave her the half-smile which concealed most of his blackened and missing fangs.
“As long as it’s quiet and dark, it’ll be fine,” she said.
“Oh it’s dark all right. You don’t have any bags?”
“I won’t need anything until tomorrow morning.”
“Just one night, then?”
“Just one.”
The clerk quoted the room rate. She slipped off her watch. The thing was heavy and made of gold. “Will this work?”
He shot it a quick, disbelieving look. “Oh yeah for sure.”
“No one will look for me here,” she said. “But if someone should, you never saw me.”
“Never saw you.”
She vanished up the stairs.
‘She looks so sad,’ the clerk thought. ‘And I’m used to lookin’ at bums who never had nothing but lost it all anyway. She’s gotta be used to stayin’ in palaces and on yachts. What’s wrong with her life? What’s she doin’ here?’
A well-dressed, large and almost unbelievably drunk man barged into the shabby lobby a little while later. “Where is she?” he bellowed. “My driver questioned a man who said he saw her enter this horrible place.” His breath reached the reception desk before he could slam his fist on it.
The clerk hit the reception desk too, with the spring blackjack he kept under the counter for just such occasions. The plywood splintered damply. The big drunk stepped, perhaps even jumped back.
“First of all, sir, we kindly request that you to keep your voice down. Second of all, this is a men-only establishment. Third of all, fuck off.”
“All right, all right,” the big man slurred. “Just askin’ is all. I’m leaving now, so you can put that thing away. Oh, and if you should happen to see a beautiful lady who looks lost, please tell her I’m sorry.”
“That, we can do,” the clerk said. “Good night and good luck.”
The door buzzed again when the man stumbled back outside. Faint sounds from the street and cold air seeped into the lobby.
If the bums in the cells looked happy when the check-out air-raid siren honked at 7:30 the next morning, the night clerk wasn’t around to notice. The morning matron relieved him at 6:30, with her usual tray of two-day-old donuts. She never looked at the bums, and they never looked at her, either. They needed alcohol. She ate all the donuts herself, as usual.
A silver Rolls-Royce rolled at a stately pace towards Kennedy Airport, where a javelin-shaped airplane awaited.
***
Una principessa all’Albergo Popolare
Il portiere guardò su quando squillò la porta d’ingresso. Ogni tanto entravano dei brutti ceffi all’hotel, a volte poliziotti che cercavano qualcuno. Lei entrò da un sogno distante e impossibile. Un lieve profumo la seguì al banco della reception.
“Avete una stanza libera?” chiese, con una parlata americana quasi perfetta.
“Per Lei sicuramente troveremo qualcosa,” rispose il portiere, sorridendole in modo da celare le sue zanne annerite e mancanti.
“Basta che sia silenziosa e buia,” disse lei.
“Buia di sicuro. Non ha bagagli?”
“Non mi servirà nulla fino a domattina.”
“Una sola notte allora?”
“Una sola.”
Il portiere le disse il prezzo. Lei si slacciò dal polso il pesante orologio d’oro. “Può bastare questo?”
Lui lo guardò incredulo. “Direi di sì.”
“Qui non mi cercherà nessuno,” disse lei. “Ma se per caso qualcuno dovesse chiedere di me, non mi hai mai vista.”
“Mai vista.”
Lei svanì su per le scale sconnesse.
‘Sembra così triste,’ pensò il portiere. ‘E io sono abituato a vedere disgraziati che non hanno mai avuto niente e comunque hanno perso tutto. Lei invece sarà abituata a ville, grattacieli e yacht. Cosa c’è che non va con la sua vita? Cosa ci fa qui?”
Non tanto tempo dopo irruppe barcollando nella brutta hall un uomo grosso, ben vestito e quasi incredibilmente ubriaco. “Dov’è?” sbraitò. “Il mio chauffeur ha interrogato un uomo che dice di averla vista entrare in questa stamberga.” La sua fiatata alcolica raggiunse il banco della reception prima ancora che l’uomo ci battesse il pugno.
Anche il portiere colpì il banco, con lo sfollagente a molla che teneva in tasca per tali occasioni. Il compensato si strusse. Il grosso sbevazzone saltò goffamente all’indietro.
“Per prima cosa, signore, le chiediamo gentilmente di abbassare la voce. Per seconda cosa, questo è un albergo per soli uomini. Per terza cosa, vattene affanculo.”
“Va bene, ho capito,” farfugliò l’omone elegante. “Volevo solo informarmi. Ora me ne vado, quindi puoi mettere via quel coso. Ah, e se per caso dovesse vedere una bella signora dall’aria sperduta, dille che mi dispiace.”
“Non mancherò,” disse il portiere. “Buona notte e buona fortuna.”
La porta squillò di nuovo quando uscì. Sommesso rumore di strada e aria fredda entrarono nella hall.
Se i barboni che avevano ronfato nelle celle di sopra sembravano più felici del solito quando suonò la sirena delle sette e mezza del mattino dopo, il portiere non lo notò. La matrona lo sostituiva alle sei e mezza, con in mano il solito vassoio di bomboloni del giorno prima. Lei non guardava mai i barboni, e nemmeno loro la guardavano. Avevano bisogno di alcol. I bomboloni se li mangiava tutti lei.
Una Rolls-Royce argentata fluttuò verso l’aeroporto JFK, dove l’attendeva un aereo a forma di giavellotto.