Waiting for a Sign
The sign that had long flashed “Kranepool” to the world at night finally frazzed out. Incandescent bulbs have warmth, but they don’t last.
Management didn’t know what to do.
“Let’s go retro,” said the Manager named Arbogast.
“We already did that,” the Unnamable Manager said.
“Let’s re-examine the possibilities of holograms,” said the Manager named Umney.
“Too Blade Runner.”
“Let’s hire an advertising agency.”
“Let’s copy whatever they’re doing in Kyoto.”
“Too expensive. Too emulative.” The Unnamable Manager rose and went to the Conference Room’s big window, which faced the dead, partially burnt sign of their Hotel. “We must boldly go where no hotel has gone before, as far as signage is concerned.” He massaged his chin. He snapped his fingers. “Let’s get the Night Porter to dream up a new sign.”
“Why not the Janitor?” said the Manageress nicknamed Biff. “She’d be more PC.”
“Too Putney Swope.” The Unnamable loosened his tie and undid the top button of his dazzling white shirt. A screaming skull tattoo was revealed. “Night Porter. Get him. Bring him to me.”
The other managers went, immediately. They flung the Night Porter down before The Unnamable.
The brief was simple: make a sign, make it new, and make it matter. The reward: you won’t be fired, for now.
The Night Porter withdrew pencil and eraser from the Reception Desk’s top drawer. He pulled some paper from the recycling bin and got busy.
Madame Ozmya, the Kranepool’s resident psychic, appeared in the lobby. She asked, what gives? The Night Porter explained.
“The best signs,” Madame Ozmya said, “come from the stars.”
“Movie stars?”
“You spend too much time indoors. Let’s go outside and look at the night sky.”
There was hardly any smog that evening.
***
Alla ricerca di un segno
L’insegna che per tanti anni aveva lampeggiato “Kranepool” verso il mondo notturno si spense. Le lampadine incandescenti sono calorose, ma non durano in eterno.
La Gestione non sapeva cosa fare.
“Propongo un nuovo look vintage,” disse Manager Arbogast.
“L’abbiamo già fatto.”
“Potremmo riesaminare le possibilità dell’ologramma,” disse Manager Umney.
“Troppo Blade Runner.”
“Ingaggiamo un’agenzia pubblicitaria.”
“Copiamo ciò che fanno a Kyoto.”
“Troppo costoso. Troppo emulativo.” Il Manager Innominabile si alzò e andò al finestrone della sala conferenze, che dava sull’insegna morta e parzialmente carbonizzata del loro Hotel. “Dobbiamo prendere una nuova direzione, per quanto riguarda la semiotica alberghiera.” Si massaggiò il mento. Fece schioccare le dita. “Affidiamo il progetto al portiere di notte.”
“Io lo darei invece alla bidella,” disse la Manager detta Biff. “Sarebbe più politically correct.”
“Anche troppo.” L’Innominabile si snodò la cravatta e sbottonò la camicia, rivelando un tatuaggio raffigurante un teschio urlante. “Il portiere di notte. Prendetelo. Portatelo da me.”
Andarono. Presero il portiere di notte e lo scaraventarono a terra davanti all’Innominabile.
Il progetto era semplice: fare un’insegna, farla nuova, e fare che colpisca. La ricompensa: non verrai licenziato, per ora.
Il portiere di notte aprì il cassetto sotto il banco della reception e ne tirò fuori matita e gomma. Prese dei fogli di carta dal cestino e si mise all’opera.
Madame Ozmya, la veggente, apparve nella hall. “Perché sei così agitato?”
Lui le spiegò la cosa.
“I segni più credibili,” disse Madame O, “giungono dalle stelle.”
“Del cinema?”
“Passi troppo tempo al chiuso. Usciamo nel parcheggio a dare un’occhiata al cielo.”
Non c’era quasi smog quella sera.