Weetzie: una vita in copertina, una pensione in hotel

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Il glamour è un mestiere sporco. Ti cospargono di trucco unto e polveri, ti plasmano addosso gli stracci e ti spingono sotto una luce abbagliante. Muoviti, dice l’uomo dietro l’obbiettivo.

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 Mi muovo e come. Da spiaggia a spiaggia, da stanza bianca a stanza bianca, da hotel a hotel a hotel. Le altre ragazze lavorano perché vogliono comprarsi una casa dove potranno stare ferme quando le macchine fotografiche e le pagine patinate avranno finito con loro. Una casa col salotto soleggiato, una poltrona comoda e un giardinetto fuori. Non lontano dalla spiaggia.

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Non fa per me. Faccio la modella perché mi piacciono gli alberghi. L’unica cosa che non mi piace degli alberghi è il dover pagare. Agli obbiettivi e alla carta patinata piacciono il mio look e come mi muovo, quindi a me la stanza e a loro il conto. Contenti tutti.

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“Ora dammi uno sguardo sexy,” dice il fotografo. “Dammi gli occhi, le labbra… dammi tutto.” Come in un film porno a scatti. E io glielo do.

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Ciò che mi piace di più delle stanze d’albergo è che sono vuote. I fotografi devono riempire le inquadrature, i redattori devono riempire le pagine di pubblicità. Le modelle devono coprire d’inchiostro i loro calendari per non sentirsi già morte. Guardo dentro stanze sconosciute e vedo letti fatti, docce pulite e panorami di metropoli, spiagge, giungle.

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Quando smetterà di squillare il telefono, voglio fondare un albergo. Un posto senza reception, né parcheggio, né ristorante-bar: solo stanze vuote con letti fatti e docce pulite. Forse una piscina, se qualcuno si offrirà di pulirla. L’insegna al neon sarà una muta ovale arancione nel cielo notturno. 

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Cover to Cover, Hotel to Hotel: Weetzie’s Model Life

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Glamour is a dirty business. Shadowy beings slather on the paint and powder, pin on the rags and shove you into the hot light. Move, says the man behind the lens. 

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Move is right: beach to beach, white room to white room, hotel to hotel to hotel. The girls work hard, so they can buy a place to stay put when the people behind the lenses and the advertising pages are done with them. A house with a sunny living room with a comfortable armchair and a little garden just outside where they can putter away into old age and whatever comes after that. Not too far from the beach.

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That’s not for me. I got into the modeling racket because I like hotels. The only thing I don’t like about hotels is the bill. Camera lenses and glossy paper like the way I look, the way I move. So I get the room, and they get the bill. Everybody’s happy.

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“Gimme a sexy look,” the photographer says. “Gimme your eyes, your lips…gimme everything you got.” Like a porno film in flip-book format. I always give them what they want.

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What I like most about hotel rooms is their emptiness. Photographers gotta fill their frames. Magazine editors sweat over unsold ad pages. Models look at unmarked calendars and feel like they’re already dead. I look into a strange chamber and see a made bed, a clean shower stall and a view of a hard-working city, or a stretch of white sand and waves, or a lush jungle of palms and cactus. 

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When the phone stops ringing, as one day it must, I want to open a hotel somewhere. A place with no reception desk , no parking lot, no bar and grille, just a lot of empty rooms with made beds and clean shower stalls. Maybe a swimming pool, if someone will volunteer to clean it. The neon sign will blaze a wordless orange oval into the night.

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matthew licht