Life and Death on the TEE
A colleague writes from somewhere in Europe:
‘An exciting time to be alive,’ I thought, every time I started work. Another chance to see the world, or at least its great railway stations.
As the night porter on international trains, my job was to collect overnight passengers’ documents for border inspection, ensure their comfort, and see that they got off at their desired destinations.
One night in Marseilles, a woman boarded as the train rolled out of the station. I was about to shut the door. She ran down the platform, held out a hand. I took it. “You shouldn’t do that,” I said. “Terribly dangerous.”
Instead of a ticket, she produced several large-denomination banknotes. “That should cover it,” she said.
“Where are you going?”
She said she hadn’t decided. I asked for her passport.
“You’ll have to finesse that part,” she said. “Keep the change from whatever the trip costs. And now I need to lie down, please.” She looked drained.
The train was full. The only cabin left was mine. Border guards never checked the crew’s quarters. She grabbed my sleeve when I said good night. “I couldn’t stand it anymore,” she said. “So I hit him on the head with the last full bottle left. It didn’t break. Then I dragged him into the closet and left him there. He wasn’t breathing.”
Feigning insomnia, I leant out the window as the night wore on and the train raced across the old continent. Thoughts of a beautiful woman in trouble kept me awake. It didn’t seem right for her to go to prison. There had to be a way to help.
Outside Jena, when I went to wake her, she was gone.
***
Vita e morte sul T.E.E. (Trans Europ Express)
Un collega scrive da qualche parte in Europa:
‘Che bello vivere,’ pensavo, ogni volta che iniziavo un turno. Un’altra occasione per vedere il mondo, o perlomeno le sue grandi stazioni ferroviarie.
Come portiere di notte sui treni internazionali, dovevo prendere i documenti dei viaggiatori notturni per i controlli doganali, provvedere al loro confort e assicurare che scendessero alle loro destinazioni.
Una notte a Marsiglia salì a bordo una donna mentre il treno usciva dalla stazione. Stavo per chiudere la portiera. Lei correva disperata lungo la piattaforma. Allungò la mano e gliela presi. “Non bisogna fare così,” dissi. “È estremamente pericoloso.”
Al posto del biglietto produsse delle banconote di grosso taglio. “Dovrebbero bastare,” disse.
“Dove deve andare?”
Non lo aveva ancora deciso. Le chiesi il passaporto.
“Quella parte lì la dovrai sbrogliare te,” disse. “Tieni pure il resto di ciò che costa il viaggio. E ora devo sdraiarmi, per favore.” Sembrava sfinita.
Il treno era pieno. L’unica cuccetta rimasta era la mia. Le Guardie di frontiera non controllavano gli alloggi delle ciurme. Mi prese la mano quando le augurai la buona notte. “Non ne potevo più,” disse “Gli diedi una bottigliata in testa. La bottiglia stranamente era piena, e non si ruppe. Lo trascinai nell’armadio e lo lasciai lì. Non respirava.”
Finsi l’insonnia mentre scorrevano la notte e il treno. Per restare sveglio, pensai a quella bella donna nei guai. Non sembrava giusto che finisse in carcere. Ci doveva essere un modo di aiutarla. Fuori Jena andai a svegliarla, ma era svanita.