The Discreet Register, part 2

‘There’s gotta be a way to make some dough off this,’ the Night Porter thought, as he mused on a book bound in black leather, a leftover from an unsuspected halcyon time at the hotel where he worked. 

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The world outside the Kranepool was obsessed with celebrity. People wanted pictures, not stories. The narratives behind the fame had gotten lost as attention-spans shriveled. The book he held in his hands was potentially a hot literary property, as long as the public could be made interested in stardom past.

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‘Doctor Buck will know what to do,’ the Night Porter thought further. ‘He always does.’

He shot a daydreamy look at the overhead security camera. The machine blinked on and off as it swiveled through its panoramic record of hotel life. When he was out-of-frame, the Night Porter stuffed the Secret Register into an XL manila envelope with the Hotel Kranepool logo printed on the upper left-hand corner.

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Dr Buck isn’t a medical man, he’s a philosopher. He knows what’s what. So he’s not the easiest man in the non-hotel world to nail down.

“Meet me at the Flame Bar before you head in to work tonight,” the doctor said, and hung up. 

The day went by. The Night Porter missed it.

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The Flame is uncomfortably close to the Kranepool, for a furtive Night Porter. The manila envelope seemed to have gained weight. The blue of the logo had deepened.

Doctor Buck had occupied a corner booth. “Show me what you got,” he said. 

He lowered his sunglasses when the Secret Register slid onto the table. “Feel like I should put on the white gloves,” he said.

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“Glamour,” the Night Porter whispered. “Beauty, talent, perseverance and the survival instinct. The stories behind these pictures should be worth a million words, each. And money. Preferably a lot.”

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Dr Buck opened a few pages at random, then put his sunglasses back in place. “What’re you trying to pull here, shmo?” 

“Whu-whuddya mean?” 

Dr Buck pushed the big black book back across the table. “You tell me.”

The pages were blank. All of them. Nothing but gray cardboard rectangles with sheets of translucent vellum between them.

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***


Il registro discreto, seconda parte

“Ci deve pur essere un modo per ricavarci soldi,” pensò il portiere di notte.

Stava rimirando un libro dalla copertina di pelle nera, un rimasuglio dell’insospettato alcione dell’hotel dove lavorava.

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Il mondo fuori dal Kranepool era ossessionato dalla celebrità. La gente voleva immagini, non storie. Le narrative dietro la fama si erano perdute nella generale atrofia dell’attenzione. Il libro che teneva in mano poteva diventare una lucrativa proprietà letteraria, se il pubblico poteva essere indotto a sbavare per la gloria passata.

“Dottor Buck saprà cosa farne,” pensò il portiere di notte. 

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Lanciò uno sguardo trasognato verso la telecamera di sicurezza sopra il banco della reception. Il marchingegno ronzava e lampeggiava durante la sua panoramica sorveglianza della vita alberghiera. Appena era fuori inquadratura, il portiere di notte mise il Registro Segreto in una busta con il logo di Hotel Kranepool.

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Dottor Buck non è medico, è filosofo. Sa il fatto suo. Non è facile inchiodarlo.

“Vieni al Flame Bar prima di iniziare il turno stasera,” disse, e riattaccò. 

La giornata passò. Il portiere di notte se la perse.

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Il Flame Bar è inquietantemente vicino al Kranepool per un portiere di notte dalla coscienza sporca. La busta sembrava incongruamente pesante. Il blu del logo si era approfondito.

Dottor Buck aveva preso posto ad una tavola d’angolo. “Fa’ vedere,” disse.

Abbassò gli occhiali da sole quando scivolò sul tavolo il Registro Segreto. “Forse dovrei mettermi i guanti bianchi,” disse.

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“Glamour,” disse il portiere di nottte, annuendo. “Bellezza, talento, perseveranza e l’istinto di sopravvivenza. Le storie dietro queste immagini dovrebbero valere milioni di parole, ciascuna. E anche della grana, preferibilmente tanta.”

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Dottor Buck sfogliò brevemente, poi richiuse il libro e rimise a posto gli occhiali d’oro. “Chi credi di imbrogliare, fesso?”

“Co-cosa vuoi dire?”

Dottor Buck spinse via da sé il librone nero. “Dimmelo tu.”

Le pagine erano vuote. Erano solo dei rettangoli di cartone grigio con in mezzo fogli di pergamena traslucida.

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matthew licht