Luna(moth)cy
A retired colleague writes from Lausanne:
The summer of 1968 was unusually sultry, and restless.
The lady in this incident suffered from insomnia. Her famous husband was a heavy sleeper. Loath to disturb his rest, she often drifted down to the lobby. Dressed in a diaphanous nightgown, she’d go to the window to reflect on the lake. Her hair was the color of moonlight.
On the night in question, she rushed to the desk. She was in a frenzy: her gray eyes were open wide,her whisper a scream. “You must come up to our room. Something obscene is there.”
We rode the elevator together. She didn’t want to be left alone. In the cabin’s glare and wraparound mirrors, her nightgown veil became even more nearly transparent.
“Horrible, horrible,” she muttered.
“Quietly, quietly,” she said, as I inserted the pass-key. In her panic, she’d locked herself out.
The only light in the suite came from a table lamp. The room seemed otherwise empty.
“There. There!” She pointed at the window as though the evil spirit of the lake had entered through its open emptiness.
A moth, or rather a behemoth, was on the gauze curtain. The monster glowed green and ghostly. Its antennae vibrated, the dusty scales on its body waved like unripe wheat on a field.
My plan was to rustle the curtain, induce the enormous but harmless beast to flutter back out into the darkness.
“Smash it,” she said. “Crush that fucker.”
She supplied the weapon, a copy of her husband’s notorious best-seller, the book that allowed the elegant couple to live at the hotel.
The volume was slim. The job took repeated whacks. A revulsion of insect gore spurted. The cleaning staff would have its work cut out for them in the morning.
“Thank you,” she whispered, at the door. “I needed that.”
This may sound indiscreet, but so many years have passed. The lady kissed the exterminating night porter. Not on the cheek.
She kept her eyes fastened upon him until she'd closed the door all way.
Fa le notti
Un collega pensionato ci scrive da Losanna:
L’estate del 1968 era insolitamente afosa e irrequieta.
La donna di questa vicenda soffriva d’insonnia. Suo celebre marito invece non aveva alcunché problema a dormire. Non volendo disturbare il suo riposo, la signora scendeva spesso nella hall. Vestita solo di una diafana camicia da notte, andava alla finestra per riflettere sul lago. I suoi capelli erano il colore del chiardiluna.
La notte in questione era fuori di sé. Aveva gli occhioni grigi sbarrati. “Deve salire in camera nostra,” sussurrò quasi gridando. “Là dentro vi è qualcosa di osceno.”
Salimmo insieme in ascensore. Non voleva restare da sola. Nel bagliore della cabina, nei riflessi degli specchi, la sua camicia da notte divenne ancora più trasparente.
“Orribile, orribile,” mormorò.
“Piano, piano,” disse, mentre infilavo il passe-partout nella toppa. In preda al panico, si era chiusa fuori.
L’unica luce nella suite proveniva da una lampada da tavolo. La stanza sembrava altrimenti vuota.
“Lì. Lì!” Indicò la finestra aperta come se lo spirito maligno del lago fosse entrato attraverso il suo vuoto oscuro.
Una falena gigantesca stava aggrappata alla tenda di garza. Il mostro era fosforescente, spettrale. Le sue antenne vibravano, e le scaglie polverose del torace e dell’addome ondeggiavano come grano immaturo in un campo.
Intendevo scuotere la tenda, indurre la bestia immane ma innocua a tornare svolazzante nella notte.
“Schiaccialo,” disse la donna. “Spremi quel fottuto coso.”
Mi fornì l’arma, una copia del libro del marito che aveva permesso all’elegante coppia di vivere all’albergo.
Era un esile volume. Il lavoro richiese ripetuti colpi. Spruzzarono viscere d’insetto. Il personale delle pulizie avrebbe dovuto faticare, la mattina.
“Grazie,” disse lei, alla porta. “Ne avevo bisogno.”
Sembrerà indiscreto dirlo, ma sono passati tanti anni. La bella signora baciò il portiere di notte sterminatore. Non sulla guancia.
Continuò a fissarlo finché non avesse chiuso del tutto la porta.