THE NECKS

Se si pensa a musicisti innovativi, che creano un proprio stile originale e riconoscibile, immaginiamo strumentisti particolari, magari eccentrici, e se in trio, con combinazioni inconsuete degli strumenti: e invece no, qui si parla di un trio ultraclassico, pianoforte, contrabbasso e batteria, e una partenza, ormai più di trent’anni fa, dalla musica jazz.

Chris Abrahams, Lloyd Swanton e Tony Buck sono una macchina improvvisativa, o meglio di composizione istantanea assolutamente unica, nata come progetto solamente da studio di registrazione e poi trasformata in uno dei migliori live set che si possano vedere e soprattutto sentire.

E’ difficile definirli in modo univoco e d’altra parte loro stessi, nella pagina di presentazione del gruppo tengono a sottolineare cosa non sono, piuttosto di quello che sono, e quindi non sono jazz, non sono minimalisti, non sono avanguardia, però sono un po’ tutte queste cose e anche altro.

Detta così sembra di parlare di un ensemble dallo stile indefinito e impersonale ed invece siamo all’opposto: sentire un disco o vedere un loro concerto comporta il riconoscimento e la definizione di un loro suono, personale e interessantissimo.

La loro musica, espressa quasi sempre in brani lunghi anche un’ora, ha la peculiarità di spostare sottili frammenti, grumi di suono qualche volta ostico il più delle volte coinvolgente in modo totale. Lo sviluppo avviene spesso per curve successive, per aggiunte e sottrazioni, con una interattività mai sterile e mai competitiva: non ci sono leader, non ci sono assoli forzati, ma solamente un unico intento perseguito.

Per loro ammissione non sanno cosa suonano fino al momento in cui lo suonano, dal vivo influenzati anche dall’ambiente e quindi dalle caratteristiche fisiche ed acustiche del luogo che li ospita.

Le registrazioni dei loro concerti – ce ne sono molte anche su Youtube – ci mostrano i tre musicisti in posizione inconsueta sul palco: a sinistra il batterista, posto di fianco rispetto al pubblico, al centro il contrabbasso, a destra, di fianco e soprattutto di spalle agli altri due, Chris Abrahams il pianista: non ci sono cenni d’intesa, sguardi, o altri segni che indichino passaggi, stacchi, vie da seguire. Solo il suono e l’ascolto del suono e la reazione all’ascolto del suono, per produrre altro.

E’ un flusso, alle volte di poche note, ripetute, iterazione di un arpeggio sghembo, sempre con accenti diversi, come guardare un quadro astratto, sempre lo stesso, e scoprire dettagli e sovrapposizioni, nuove sfumature cangianti ad ogni nuovo sguardo.

Quando si inizia l’ascolto è difficilissimo interromperlo, perché non c’è mai uno spazio, un vuoto non concatenato a quello che c’è prima e a quello che viene dopo smettere vorrebbe dire smettere di respirare, non è materialmente possibile uscire da questa sospensione.

Lloyd Swanton, il contabbassista, ha dichiarato in una intervista che lo spunto fondamentale a fare questo tipo di musica è arrivato dalla lettura di un libro di un musicologo – Christopher Small – che definisce il fare musica come l’esperienza di un attimo.

E’ un attimo che si protrae nel tempo, un sempre presente che rappresenta al meglio una musica atemporale, legata all’essere, viaggio intimo nel quale la partenza e l’arrivo sono ignoti, e quello che c’è nel mezzo è, può essere, la musica di The Necks.

THE NECKS - 30th Anniversary Concert @ Jazzhouse, Copenhagen (16th of November, 2016)

Roberto Cagnoli