ROSCOE MITCHELL
Ha settantotto anni. Tre anni fa nel 2015 invece di curare l'orto, accompagnare i nipoti a scuola o scambiare due chiacchiere su una panchina ha pensato bene di festeggiare i 50 anni della prestigiosa AACM, Association for the Advancement of Creative Musicians, da lui fondata insieme ad altri grandi (ancora non) della musica jazz.
Mitchell ha attraversato trasversalmente la strada musicale, talvolta andando contromano, seguendo con coerenza un percorso avanguardistico costantemente di alto livello.
Festeggiare un anniversario così significativo non poteva pertanto avvenire sottotono e neppure trasformarsi in un'autocelebrazione non consueta per il personaggio.
Il Museum of Contemporary Art in Chicago ha concesso quindi gli spazi ospitando il concerto dal quale è tratto il disco di cui parlerò tra qualche riga, completando il ritratto dell'artista con una esposizione di alcuni suoi dipinti, una collezione di strumenti inventati, una installazione da palco dell'Art Ensemble of Chicago e una serie di foto d'archivio in cui compare personalmente o attraverso opere altrui comunque ispirate dalla sua musica.
Eccoci al disco, che poi è un doppio, “BELLS FOR THE SOUTH SIDE”, uscito il giugno scorso su ECM. E' la registrazione completa delle due sessions – pomeridiana e serale – suonate all'MCA, nelle quali Roscoe Mitchell si avvale di quattro trio, due per la prima parte e due per la seconda.
Gli strumenti sono i consueti fiati - legni e ottoni - poi pianoforte, basso, batteria e elettronica per i quali Mitchell predispone undici brani (di cui solo uno co-firmato dagli altri partecipanti) dove imposta strutture labili e modificabili organizzate personalmente attraverso la conduzione dell'esecuzione.
Ci si potrebbe aspettare un suono compatto e denso e invece spesso gli strumenti suonano in solo o quasi, leggermente sorretti da punteggiature dei compagni.
Come da sempre Mitchell usa lo spazio, i silenzi, le pause per delineare e modellare le proprie composizioni, indicando le direzioni, suggerendo percorsi: spesso i suoni sparsi, attraverso spirali cicliche, si raggrumano in dialoghi serrati e ritornano a de-strutture free, seguiti poi, nuovamente, da respiri larghi, nebbie sfumate.
Non c’è un brano che sovrasta gli altri per potenza o per qualità liriche: la musica descrive una vita per e nella musica ed è il miglior ritratto (autoritratto) di Mitchell.
Naturalmente è ancora jazz, ma è anche parti di storia della musica contemporanea, minimalismo, composizione istantanea ed è in assoluto uno dei più bei lavori degli ultimi anni, si può risentirlo in continuo e ha la capacità rara di cambiare insieme all’umore dell’ascoltatore, al tempo, alla luce: ecco, la luce e i suoi cambiamenti può essere una buona metafora per descrivere l’ascolto.
Ha a che fare con la percezione, con i battiti cardiaci, con i passi, con lo star fermo ad osservare sapendo di poter mai vedere tutto.
Ha settantotto anni, è vero, ma pubblica uno straordinario connubio di modernità e intuizioni spostando in avanti la visione già avanguardistica che gli compete, ed è il prodotto di due sessions, ricordiamolo, registrate live in un giorno solo, con grandi musicisti capaci di interpretare il senso vero della sua musica. Ha settantotto anni ed è un vecchio nell’accezione nobile e antica della parola, ci riporta all’uomo saggio che fa della conoscenza del passato carburante per il futuro e, fortunatamente per noi, ce ne mostra un pò.