DYSTIL - TRAME NELL'OMBRA
Tra le innumerevoli e mutevoli uscite della label Clean Feed da Lisbona (prossimamente ne dovrò parlare) ho scelto questa, un trio proveniente da New York, una formazione consueta con piano, sax e batteria, ma la cosa che mi ha incuriosito nelle note di accompagnamento è la parola “objects” aggiunta al loro strumento di competenza.
Tre giovani jazzisti che arrivano alla loro prima uscita con questa formazione, non avevano mai suonato insieme, decidono di creare qualcosa e scelgono di vivere per tre mesi nello stesso luogo per condividere il loro racconto e poi condividerlo di nuovo, con gli ascoltatori. La copertina del disco vede tre persone, forse i musicisti o forse tre monaci, incappucciati, di spalle, che si incamminano su un percorso nebbioso, in salita tra gli alberi: e la copertina, inconsueta, dice già molto.
Se amate le ibridazioni, le ridefinizioni e le sorprese questo disco vi ammalierà: 11 brani di cui almeno un paio sono degli interludi, che rappresentano una serie di scene che trovo più assimilabili a quadri teatrali oppure a sfogliare un album di vecchie fotografie, che al “Imaginary Film” del titolo del brano che apre il disco.
Non ci sono temi da sviluppare, non ci sono assoli, ma una serie di suoni convenzionali affiancati da piccoli rumori, scricchiolii, interferenze, che insieme compongono istantanee in bianco e nero, sonorizzate in modo coeso e profondo dai tre musicisti.
Non c'è mai tanto tutto insieme, il pianoforte di Quincy Mayes accenna brevi licks iterativi che in breve scompaiono, il sax di Bryan Qu approfitta degli spazi per lasciare andare delle note, alla batteria Mark Ballyk accenna ritmi minimali e spezzettati su soffi di piatti, distesi su un substrato granuloso, una visione di polveri e luci marginali.
Il vero fulcro semmai è l'attesa di un apertura che (ovviamente) non arriva a liberare la tensione, la musica scorre su piani temporali sovrapposti a velocità diverse e termina spesso quando ne vorremmo ancora.
E' anche la misura uno dei pregi di quest'opera, con l'asciuttezza che diviene stile, si tramuta in racconto del buio, delle ombre, di strascichi, del suono degli “objects”, e così, dopo l'improbabile accenno di melodia con voci filtrate di “Warm Grey Meadow” - l'ultimo brano della raccolta - non ci resta che ricominciare dall'inizio, sapendo già che forse non c'è una fine.
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Un video di Mark Ballyk - solo performance