Bestiarius immaterialis - La pantera urlatrice
Non ringhia e non sa stare in silenzio.
Un tempo forse anche lei s’è acquattata nell’ombra immobile in attesa della preda. Poi: il trauma. Da quell’istante, perduto nell’eternità, la pantera altro non fa che latrare, urlare, strillare, strepitare disperatamente la sua presenza. Gli animali, ancora prima che per la paura di essere cacciati, scappano via per il fastidio, il disagio perturbante dell’altrui tormento.
La sua voce è un canto disarmonico e straziante. Inizialmente commuove, genera compassione, e rapidamente la compenetrazione emotiva si trasforma in contagio e chi ascolta il grido oscuro della pantera se ne addolora profondamente e, sconfitto dalla tristezza, si rintana anch’egli nel più completo buio e nella totale assenza di suono. Lontano da qualsiasi cosa abbia un significato che potrebbe scatenare nuovi traumi e nuova angoscia e alimentare l’urlo innaturale che cresce dentro e si traduce in un’afflizione interminabile.
La pantera urlante si prostra davanti al suo dolore, ogni giorno, scheletrica e inutile, senza cercare alcuna via di fuga ma crogiolandosi nella sua disperazione senza tempo. E non muore. Spera di terminare la sua vita e liberarsi dalla sua maledizione, eppure non muore. Ogni tanto chiude gli occhi, sanguinanti e senza più lacrime, nel tentativo di lasciarsi andare alla fine. Poi: il trauma. Li riapre e le appare lucidamente l’immagine di quella sua vita grama, ridotta all’osso da una condanna egoista, che non concede nemmeno la fine ma si riverbera, tortura reiterata assieme al ciclo lunare; che non cresce e non uccide, che sta lì, fantasmagorica, nascosta nell’ombra di tutte le cose, tra la peluria nera del manto della pantera, insinuandosi nelle sue vene ricolme di sangue rancido e nero, sotto il cielo nero e la foresta nera, oscura, in cui risuonano, sovrastando il rumore delle foglie sbattute dai venti, le urla atroci e terribili della pantera immobile, accasciata nel suo eterno patimento.