Bestiarius immaterialis - Il cinghiale voracissimo
Enorme. Il rumore dei suoi zoccoli trascinati sul terreno rimbomba come un terremoto che squarcia la terra, la consuma creando un solco. E s’ode un tonfo, quando la zampa si poggia nuovamente al suolo nudo, per sollevare quel corpo immenso oltremisura. Il cinghiale mangia qualunque esistenza: verdi foglie d’alberi, corteccia marrone, carne e ossa e sangue, ingurgita pietrame e terraglia. Non effettua alcuna cernita, non trasceglie: ciò che passa sotto il suo naso vigile la sua bocca dentuta lo ingloba, risucchiandone l’interno e la buccia, senza distinzione. Non svuota le carcasse di ciò che è commestibile, prende tutto. Sarà il suo stomaco inscalfibile a disciogliere ciò che può essere digerito ed espellere il superfluo.
Al suo passaggio si forma una scia di nulla indelebile. Un deserto lineare e confuso. Dall’alto: un disegno d’indubbia complicatezza onnivora. In questo ghirigoro, formato dal suo strisciare nel mondo, vi è un messaggio misterioso. Dice dell’insoddisfazione perenne. Dice della fame. La traccia del cinghiale, il solco che si lascia alle spalle è un gesto, forse inconsapevole, che da senso alla sua sofferenza. Il significato straziante del suo ossessivo cibarsi si traduce in un segno indelebile vergato a ogni passo sulla superficie dell’esistenza.
Divora intere città, beve i fiumi, svuota le foreste e pialla le montagne. Annulla, silenzia.
Il suo è un messaggio disperato, una richiesta d’aiuto bulimica e maniacale, inarrestabile. Quando si accascerà al suolo, ormai sconfitto dalla fatica, finalmente il suo destino sarà compiuto e il suo dire arriverà al punto, alla fine. E il suo verbo riecheggerà per sempre nel vuoto.