Bestiarius immaterialis - Anguro
Grandi incisivi cubici si fanno largo, imponendosi alla vista, sul muso sporgente che sorregge gli occhioni color nocciola. Le piccole orecchie otturate dalla sabbia stanno lì, ai lati di un volto di pelo: sono inutili, inutilizzabili. L’anguro sente i suoni e i rumori soltanto nei primi istanti dopo la sua nascita, per poi lasciare spazio ai granelli e al silenzio; all’agglomerato di materia che lo separa auditivamente dall’esterno.
La particolarità di questo piccolo animale innocuo è che i suoi denti, sbattendo continuamente, al ritmo perfetto della natura, provocano un suono sordo che, propagandosi traverso il grande stomaco dell’anguro, risuona potente ovunque egli sia. L’effetto che se ne ottiene è di un perpetuo tamburellare profondo e corposo, che segue il passo, il battito, il rumore del vento che l’anguro non può sentire, ma che evidentemente avverte, dentro di sé. E quel suono, il battere dei suoi denti, lo aiuta a trovare le ghiande di cui si nutre, poiché, mosse dalle onde sonore, esse si svelano all’anguro, che agilmente può raggiungerle e cibarsene. Contemporaneamente, lo sbattere dei suoi dentoni piatti spaventa i predatori, tenendoli lontani e ammalia alcune delle creature del bosco che, da sempre e per sempre, attratte dal tamburellare dell’anguro, ne seguono il cammino, lasciando dei doni, per ringraziare di quei ritmi così vividi e ispiratori. Annullano la stanchezza, i suoi battiti, se chi li ascolta ha l’animo predisposto. Danno energia e segnano il sentiero, a chi li ascolta con orecchie e cuore aperti.
Inconsapevole, l’anguro vive per le ghiande e nient’altro, e vaga per i sentieri con una forza vitale senza pari, una cadenza interiore che somiglia a quella dei flussi del cosmo e due occhi immensi e vuoti come il baratro che precede l’ascesa di tutte le anime al mondo degli spiriti, e che attende anche lui, che non ne sa nulla e che mai si chiederà alcunché, alcun perché.