"MADRE!" (Mother!)

"Madre!" (Mother!), del 2017, resta nei fatti la prova più arcana, ieratica di tutto il cinema Aronofskyano. Sono trascorsi alcuni anni dalla sua uscita, ed ancora, ad ogni visione, questo film, come dire, mi destabilizza. Ed è per questo che lo amo: a dispetto di molta critica specializzata, trovo che il film di Darren Aronosky sia talmente oscuro che, per reazione cinefila, non può che eccitare i pensieri di chi scrive, forse proprio nell'ermetismo più spinto, ecco, che si può giungere all'orgasmo dei sensi, d'estasi e di tormento. Sto esagerando? Può essere, ma questo mio delirante commento è forse l'estrema sintesi che si prova dopo aver visionato (con attenzione) il film: mi sono promesso, quindi, di scriverci qualcosa, una riflessione...

Ma non divaghiamo: “Madre!” resta qualcosa di “occulto”, ed è l'opera che rimarca la presa di posizione estrema ed autoriale di Darren Aronofsky e del suo fare cinema, e come tutte le prove del regista, occorre farsi rapire senza porre resistenza, entrare in una vicenda che sprofonda in tante (troppe) letture criptiche, dilatandosi (e proprio il caso di dirlo) fino ad esplodere in un finale che pone, almeno per chi scrive, più domande che risposte. Per questo, è un piacere perdersi, e spenderci un pensiero critico. Ma capisco anche del perchè abbia diviso critica e pubblico. Certo, riconosco la sua complessità, soprattutto se cerchiamo dal cinema linearità di racconto e scorrevolezza di pensiero. "Madre!" è tutto che lineare, si addentra nell'incertezza più assurda, è questo è ciò che mi intriga: perdersi dentro un film e, alla fine, rimanere talmente estraniati da provare un brivido di piacere, e di orrore, perchè non sappiamo bene come spiegare certe emozioni, certi contrasti...

Un plauso, quindi, ad Aronofsky, che già ci aveva conquistato con il crepuscolare "The wrestler" e con il teatrale, lisergico "Il cigno nero". Come “Il cigno nero” anche “Madre!” lo possiamo definire un horror femmineo, ed è “lisergico”, cripto/trascendentale come lo era “Pigreco: il teorema del delirio”, il suo lungometraggio d'esordio, datato 1997. Dopo vent'anni da “Pigreco”, il regista gira forse la sua opera più “totale”: perchè “Madre!” è Aronosky allo stato puro, e, collegandosi idealmente al film d'esordio, sembra rimarcare certe teorie trascendentali e religiose, visto che la vicenda ruota attorno ad una donna, giovane e determinata a portare avanti il compito che si è prestabilita, risistemare la casa in cui abita, che è stata devastata da un incendio.

Il titolo è, quindi, perfetto, asciutto, che non lascia scampo: "Madre!" (con tanto di punto esclamativo), ed è lei, la madre, una Jennifer Lawrence dalla bellezza senza tempo, dolce nei tratti e nei gesti, che qui interpreta, come accennato sopra, la giovane e devota sposa di uno scrittore (Javier Barden) in crisi creativa. Tutto è calmo e controllato nella grande casa immersa nel nulla geografico, dove lei si dedica a dei lavori di restauro. Ma ecco che qualcosa si spezza: una coppia (due straordinari Ed Harris ed una sempre splendida Michelle Pfeiffer), marito e moglie anch'essi, un giorno bussano alla porta, e la loro presenza, dapprima cordiale poi sempre più invasiva (penetrativa?), getterà il tutto in una stranissima atmosfera, vista e vissuta dalla giovane moglie come una sorta di stupro nella loro intimità familiare, degenerando passo dopo passo in un incubo sempre più folle e senza ritorno, con la Lawrence persa in tormenti paranoici, così da far emergere, nel caos simbolista, l'idea(le) della donna, Femmina e Madre, vista e interpretata, secondo il credo Aronoskyano, come idea e Dea della Fertilità, santa e musa ma anche, per risposta, martire stigmatizzata... Insomma, c'è qualcosa di evangelico, ci sono rimandi al Vecchio Testamento, che verranno in luce col sopraggiungere di una gravidanza della moglie del letterato, e che porterà la nascita di un bambino "messianico". Anche se è arduo (davvero) spiegare una trama così complessa, infarcita da riflessioni mistiche e concettuali, siamo come rapiti, ammaliati, frastornati dagli eventi. E' la magia del cinema, appunto, la magia del cinema mai scontato di Aronofsky, per averci partorito un'opera ambiziosa, forse troppo, ma che non lascia indifferenti, e che ci porta domande su domande... In particolare, sono i dettagli che colpiscono l'attenzione. Allusivi, come le "ferite" che la nostra vede, a forma di vagina insanguinata, sul pavimento e dove lei, timidamente, affonda le dita, per poi riperdersi in altri deliri. Ad esempio, nella scoperta tutta lovecraftiana della caldaia nel seminterrato, il cuore pulsante della casa visto che, in fondo, questa dimora respira di vita propria (vita e morte). Fino all'invasione di un'orda di persone, predatori che, arrivando da chissà quale anfratto del mondo civile, distruggeranno man mano l'abitazione, trasformandola in una trincea, così, senza logicità d'intento, almeno apparente. Sembra quasi di non coglierne il fine, il film è ormai perso dentro il film stesso, ci troviamo invischiati, come la protagonista, in un oscuro inferno (l'apocalisse annunciata dalle sacre scritture?), governato dal caos e dalla legge di uno scrittore/demiurgo, despota quanto profeta, che si ritrova attorniato da una setta di fedeli che lo seguono come un guaritore intellettuale (qui una riflessione, se vogliamo, del fanatismo estremo e nelle sue manifestazioni, spesso religiose che possono sfociare nell'irrazionalità più pericolosa e violenta).

Visionando il film siamo assaliti da certi deja vù, gli echi a Polanski sono evidenti ("Rosemary's Baby", soprattutto "Repulsion"), ma ci ritrovo anche spuntature da "Il profumo della signora in nero" di Francesco Barilli, per giungere, sempre tenendo conto di H. P. Lowecraft, alla “trilogia della Morte” di Lucio Fulci. La scena della caldaia, davvero, strizza l’occhio al regista romano. Riflessioni e citazioni possibili, guai ai vinti, a coloro che non vedono la bellezza nel Mistero, poichè abbiamo fame di film come questi. E vorrei anche ribadire , per il ruolo che ricopro, che, malgrado tutto lo sforzo critico, si parla sempre, e comunque, di cinema dell'horror: anche se la struttura narrativa cerca vie autoriali molto radicali, rimarcando la necessità di interpretazioni per spiegoni e da letture iperboliche, in un certo senso, volendo de/costruire i dogmi dell'industria del genere, resta “Madre!”, alla resa dei fatti, un superbo film dell’orrore, visto che in fondo al barile, c'è sempre la sacrosanta importanza della paura come metafora esistenziale, come specchio per rifletterci e per riflettere. Sto delirando? Allora vuol dire che sono dentro anche io nell'incubo del buon Aronofsky. Delirium di un cinefilo: quindi, non posso che consigliare "Madre!", lo consiglio con il cuore in mano (senza spoilerare, ma guardatevi il finale!), anche se non si riesce a cogliere tutto, anche se tante cose restano sospese, arrivando a dire che non si capisce una mazza dall'inizio alla fine, ma in fondo questo vogliamo: lo stesso regista non ha voluto farsi ricattare dalla logicità, ma, come lo era, appunto, il “Cigno nero”, imbastire un sofisticato scivolamento lento, devastante negli anfratti della più misteriosa “femminilità”. Così che il film ci prende e ci avvolge dentro una pesante coperta di suggestioni visive e sensoriali, ed è capace di terrorizzarci come pochi, anche se nel dubbio di quello che abbiamo appena visto...



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Raffaello Becucci