Sign ahead

Prendiamo un segno che indichi la Verità. Non una verità, ma quella assoluta con la V maiuscola. Poi succede che questo segno circola, diventa oggetto di scambio, è negoziabile, diventa merce. Successivamente nasce il sospetto che questo segno sia vuoto, allora ci si interroga sul suo referente, si cerca una qualche Verità nel suo significare. Si dice quindi che se il Segno della Verità è di essa solo un simulacro, allora l'espressione di questo dato di fatto è assolutamente vero, e forse è proprio questa la Verità. Diciamo così: che il referente del segno indicante la Verità è a sua volta solo un segno, e questo fatto a sua volta è un segno, e così via. Ma il segno che indica questa catena, questa "precessione dei simulacri", è in sé Verità. Una verità in negativo, se si vuole.
Bene. Se non che, tale Verità così rivelata attraverso l'esposizione della precessione di simulacri, è a sua volta il prodotto un'operazione che può scindersi nuovamente dal proprio significante. Questa Verità così demistificata a sua volta diventa negoziabile, oggettto di scambio, merce. Se dapprima circolava il segno della verità, ora circola il segno della vuotezza del segno indicante la verità. In entrambi i casi il segno che viene scambiato ha lo stesso valore di verità in quanto è comunque soggetto ad una precessione: il segno della verità dell'assenza della verità è a sua volta simulacro, segno di un segno. Dal punto di vista economico i due segni sono perfettamente equivalenti, contengono la stessa quantità di informazione, allo stesso modo possono essere scambiati, trasformati in merce. Si può vendere un prodotto in quanto segno di un valore astratto (libertà, naturalezza, genuinità, sincerità, ribellione, giovinezza, potere, sessualità, ecc.) ma si può anche vendere un prodotto che rappresenta simbolicamente la vuotezza dello stesso linguaggio pubblicitario, significare simbolicamente in una pubblicità l'emancipazione del consumatore dalla servitù dello stesso sistema simbolico pubblicitario, il prodotto è “sincero” in quanto dichiara che ogni messaggio pubblicitario è vuoto (vedi il genere della pubblicità comico-demenziale, pubblicità senza riferimento diretto o indiretto al prodotto ma valida esteticamente “di per sé”, pubblicità ironica e “anti-pubblicitaria”, pubblicità in cui il meccanismo pubblicitario è esplicito e ironizzato). Allo stesso modo funziona la politica della post-ideologia, la cui ideologia sta nel denunciare la vuotezza dell'ideologia. I populismi, o i ragazzi con i “piedi per terra”, che hanno i piedi per terra solo perché tautologicamente non hanno la testa fra le nuvole.


C’è anche la letteratura. Essa, a rigor di logica, non dice: “Io significo questo o quello”. Quello lo fa il linguaggio referenziale della scienza. La letteratura non dice nemmeno: <<“Io significo questo o quello” significa questo o quello>>. Quello lo fanno i metalinguaggi della critica e della storia. La letteratura può dire solo: “Io significo”. Essa indica il proprio significare.
La Verità della letteratura dimora in questa breve stagione di Verità, proprio come quel segno che significa la vuotezza di ogni segno, ma prima che questo fatto diventi a sua volta segno. La letteratura vive in quel breve istante in cui la precessione dei simulacri è rivelata ma non ancora trasformata in segno. Per questo il discorso sulla letteratura è sempre postumo.
Per questo la condizione della letteratura è simile a quella del timido riccio dei boschi di cui parla Derrida. Nascosto, invisibile, ne conosciamo l'esistenza solo dopo averlo ucciso, compiangendone i resti schiacciati sul ciglio della strada. Ne rimane la traccia, la prova che da vivo da qualche parte, irraggiungibile, c'è.

Carlo Zei