Visita in studio - Francesco Lauretta
Già in passato la contemplazione dei dipinti di Francesco Lauretta mi aveva ricondotto ad una atmosfera di esaltazione dei sensi, come se le sue opere mi portassero necessariamente verso un potenziamento dello sguardo, verso una accensione dell' attenzione. Ricordo con piacere, anni fa, una serie di opere tutte marine, tutte ambientate su una spiaggia deserta, davanti al mare, dentro una super luminosità bianca che dominava ogni dettaglio, accentuando un senso di solitudine che feriva l'osservatore con la luce di una suprema esattezza, evidente allusione – almeno nella ricognizione che ne feci io – all' ultimo distacco, il più doloroso perché allestito in uno splendore dei particolari che spingeva dentro le visioni una (quasi) insopportabile nostalgia.
Ma oggi una visita al suo studio mi sorprende: con quella radicale capacità di cambiare soggetto di cui Francesco è capace, il contesto è del tutto mutato. L'intento di partenza delle nuove opere si basa su una struttura concettuale robusta e suggestiva: sta ridipingendo per una mostra imminente alcuni lavori nuovi basati su opere del passato. Sta riesaminando percorsi già effettuati, quindi il tema è quello della seconda volta, della ripetizione (differente o uguale, non ha secondo me, in questa specifica situazione, troppa importanza questa distinzione). Se il tema è la ripetizione, chiaramente siamo gettati dentro l'asfissiante dominio del Tempo, così la più importante curiosità che queste tele mi suggeriscono è se Francesco Lauretta intenda – ripetendo le proprie opere – costruirsi una gabbia ancora più salda da abitare oppure tentare all'opposto di scavarsi una via di fuga attraverso l'esperienza. Non gli ho posto la domanda, avrei potuto (e certamente lui mi avrebbe risposto in modo saggio e convincente, come sempre riesce a fare) ma ho preferito mantenere un primato dell'incertezza come base su cui scrivere questo piccolo testo. In caso siate curiosi vi confesso che propendo per la seconda ipotesi.
Non c'è alcun vantaggio nel ripercorrere strade già fatte, anzi – a dispetto di quello che potreste pensare – si tratta sempre una condizione pericolosa, esposta a molti rischi. Nessuno affronta a cuor leggero l'impresa di mettersi a costruire un mentale castello di carte: sembra capace di reggersi su fondamenta invisibili, ma può in verità crollare in qualsiasi attimo, alla velocità del pensiero, bruciando la materia delle illusioni e le consolazioni del rifacimento, lasciando solo - come malinconica rovina- un senso di colpa per non essersi confermati all'altezza della propria leggenda. Francesco è un pittore incredibilmente coraggioso, sa quello che fa e conosce dei segreti utili alla meraviglia. Le sue figure resistono in qualsiasi galleria del vento e della memoria. Penso al cavaliere folcloristico che troneggia sul cavallo bardato a festa, così netto ed emblematico su quel fondo scuro minaccioso. Mi aggiro dentro certe foreste molto incantate in cui la luce precipita e si diffonde a sbiancare speciali zone tra fronde e radici, con improvvise pieghe dell'aria tersa dentro lo scrigno vegetale virato seppia, psichedelico. Mi stupisco davanti al set del cantiere, ci sono dei lavori in corso, c'è un gruppo di operai in pausa, raffigurati come popolari eroi, e sullo sfondo la sorpresa di una ripetizione di forme picassiane, citazioni letterali direi, allucinatorie ed ironiche. In controluce mi pare di trovare dominante un profumo malinconico, come un filtro di lacerata nostalgia, una sostanza magica da bere con gli occhi. Un' offerta irresistibile.
Carlo Zei (immagini)
Stefano Loria (testo)