Uno Zero. Hanif Kureishi tra il noir e Simenon
Da lontano, scende da un pulmino, mi vede, e urla “Peeeep”
Mi guardo in giro, in molti si voltano, non capisco.
“Peeeep, hey my friend”
Hanif Kureishi ride e salute da lontano. Ora capisco e rido, saluto… Hanif se ne va chissà dove, io torno in città. Ad inizio giornata, la prima cosa che mi dice prima di iniziare l’intervista è stata che gli sembravo proprio Pep Guardiola, ex allenatore del Barcellona.
E così si è consumato il nostro incontro, a Torino, qualche mese fa. Kureishi portava “Uno Zero” (Bompiani), il suo ultimo romanzo. Inaspettato, ironico, tragico, erotico, sospeso. Colto e popolare, come sa fare lui. Scrittore anglo pakistano, personalmente il suo “My Beautiful Laundrette” (di cui era sceneggiatore) ha lasciato il segno. Adolescenti noi in quegli anni, quel film lo abbiamo visto e rivisto. Era l’Inghilterra che immaginavamo con le canzoni degli Smiths. Pop nel senso più colto. Ma anche straordinariamente presente ai cambiamenti, al mutare degli umori e delle sensibilità, con il suo “Il Budda delle periferie”.
E si capiva da che parte stava Hanif Kureishi. Lo si è sempre capito. Scrittore dalla parte degli esclusi. Ancora oggi, che scrive questo che sembrerebbe un divertissement: pieno di citazioni e di colori dal grande cinema noir degli anni quaranta
Per restare al laboratorio Kureishi, alla scrittura, nel leggere questo “Uno Zero” si ha netta l’impressione che per avvicinarsi a quel mondo fatto di atmosfere sospese e noir, una delle letture necessaria sia stata la produzione del Simenon lontano dai classici Maigret. Scopriamo allora che sono stati appena ripubblicati in Inghilterra, in nuove traduzioni, molti di quei magnifici romanzi, e che Kureishi poco prima di iniziare a lavorare sul romanzo, li abbia proprio ricevuti in dono.