Daydream Girl
Kim Gordon ha scritto un memoir. Ed è bello da leggere
Come era nascere in una famiglia borghese intellettuale sulla costa est degli Stati Uniti, padre professore di sociologia, passaggio e adolescenza sulla costa californiana, e diventare un’icona post punk che da subito ribalta l’estetica musicale e insieme definisce una linea di continuità tra quello che era stata la no wave newyorkese e tutto il post rock USA che arriva fino ad oggi?
Domandone. Pure un po’ inutile.
Fatto sta che Kim Gordon ha fatto tutto questo, e nel mezzo ne ha combinate molte altre, restando ancorata cocciutamente all’idea vitale di fare rock ed essere un’artista contemporanea.
Si parla dunque di Sonic Youth, si parla di scena artistica americana dai primi ’70 ad oggi, tutto questo in un libro, un memoir, intitolato Girl in a band (Minimum Fax, 2016).
Diciamo subito, agli scettici, che si tratta di un libro scritto. Non raccogliticcio, ma proprio scritto con l’intento di ripercorrere un’esistenza (Kim Gordon nasce nel 1953), ricomporre i pezzi di una vita che nel 2011 subisce una brusca frenata, e raccogliere tante suggestioni legate al mondo dell’arte contemporanea che la ex bassista e fondatrice dei Sonic Youth ancora oggi abita con determinazione e un certo successo.
Il libro è innanzitutto un modo per scoprire chi sono stati, per chi non li conosce, i Sonic Youth, i pionieri del noise-rock americano, nati all'alba della no wave newyorkese, una miscela di improvvisazione colta, noise, punk, hard core, avanguardia.
E allora vale la pena immergersi in questa storia, che ha attraversato la musica americana per 30 anni. Quattro musicisti: Lee Ranaldo, Thurston Moore, Steve Shelley e appunto Kim Gordon (per qualche anno sono stati in 5 con JimO’Rourke). Musicisti sperimentatori che hanno di fatto costruito un’epopea chitarristica totale, segnando lo sviluppo del rock alternativo americano come lo conosciamo oggi. Grunge, noise-rock, post-hardcore e gran parte dell'indie-rock anni 90 sono nati sulle loro fondamenta.
La loro portata rivoluzionaria si snoda lungo tre assi: il primo è quello già accennato, di sintesi di generi e sonorità lontane, quando non antitetiche.
Secondo: i Sonic Youth hanno cambiato il modo di concepire la chitarra elettrica, usandola in modo totale, cioè spingendosi oltre il suo utilizzo ortodosso. Sfruttando la lezione del compositore Glenn Branca, i chitarristi Moore e Ranaldo suonano lo strumento chitarra nella sua interezza, sfruttandone la componente fisica (corpo, manico, elettronica) tanto quanto quella melodica (note, accordi, scale), arrivando a preparare le chitarre, modificarne l'elettronica, percuoterle con oggetti, cimentarsi in droning e feedback, o - nelle parti melodiche - sperimentare accordature atipiche. Chi ha visto Lee Ranaldo allo Studio Foce a Lugano nel 2015, si ricorderà del continuo cambio di chitarre acustiche ognuna con accordatura diversa.
Terzo punto, fondamentale, ai Sonic Youth va riconosciuto l'apporto iconografico che hanno dato alla cultura underground, coi loro testi surreali e stranianti, il loro look giovanile e stravagante e la loro etica commerciale che ne ha fatto prima delle star indie, poi dei veri e propri mecenati.
Tornando al libro, Girl in a Band, non si limita, per modo di dire, a ricostruire la storia della band. Fa di più, ed è qui che risiede l’interesse per i curiosi di musica. Fa comprendere il complesso sistema di riferimenti che i Sonic Youth hanno avuto: la rete culturale dalla quale sono usciti contempla certamente la musica, e forse il modo migliore per cogliere quel brodo primordiale che era New York negli anni ’70 è leggere il fondamentale libro di Will Hermes (New York 1973 - 1977).
L’arte contemporanea della scena underground, con i galleristi che diverranno i grandi nomi, e gli artisti naturalmente: scorrono allora i nomi di un giovane e arrogante Larry Gagosian, Jutta Koether e Gerhard Richter, amico della coppia Gordon-Moore e autore della copertina di quello che forse è il disco più celebrato, Daydream Nation.
Per finire Girl in a Band è l’epitaffio di una storia amorosa, che per venti anni ha rappresentato un unicum nella storia del rock: Kim Gordon e Thurston Moore erano l’anello mancante tra John e Yoko e Kurt Cobain e Courtney Love (e guarda caso Kim Gordon era legatissima a Cobain ed ha prodotto il primo disco delle Hole di Courtney), ma senza l’ecumenismo post-hippy dei primi e lo sfascio autodistruttivo dei secondi. La Gordon racconta di come tutto sia finito, di come ne sia uscita, a fatica, e non del tutto forse, e di come sia stato difficile capire che con la loro storia d’amore finiva anche la storia dei Sonic Youth.
Enrico Bianda (testo e immagini)