Visita in studio - Enrico Bertelli
Dentro il mondo e allo stesso tempo fuori dal mondo, una pausa preziosa nella velocità del viaggio, quando la giornata scorre troppo rapida e rischio di cadere in territorio ostile, quando mi incupisco per le consuete ingiustizie universali in continua moltiplicazione. Anche a sorpresa, senza averla pianificata in precedenza, la visita allo studio di Enrico Bertelli ha aperto una zona temporale santificata, una sospensione capace di indicare altre felici dimensioni, diversi sentieri percorribili nella intricata foresta. Confermata la nuda presenza dell’opera.
In Toscana. Nella città sul mare. In un assolato pomeriggio primaverile, quando tutto il paesaggio sembra già consegnato all’estate, in anticipo sul calendario. La luce intensa mi acceca perché sono ancora abituato all’oscuro inverno. L’edificio non è – come mi aspettavo, sbagliando – un luogo industriale, un camerone asettico, un angolo di fabbrica sterilizzato. All’opposto, si entra in una dimora ottocentesca, solida, tranquillizzante. Alle pareti dell’ingresso vedo collezioni di libri antichi, qui il richiamo al passato è ben presente, incastonato nell’oggi come un necessario gioiello. Di colpo sono uscito dalla confusione della strada per incontrare una radura, una quiete che mi fa respirare subito meglio.
Lo studio è al piano terra, con la porta-finestra che lascia intravedere un taglio di giardino, anch’esso calmo e silenzioso. Di cosa parliamo quando parliamo di arte astratta? Di niente, direi. Nel senso che le opere resistono all’interpretazione esibendo una loro unicità di presenza. Sono state costruite esattamente in quel modo che vedete: la superficie è la loro profondità. Questo concetto mi sembra si possa applicare perfettamente alle invenzioni di Bertelli.
Le tracce di colore indicano il residuo di precedenti esistenze. Il tema della manipolazione della memoria irradia energia: pentimenti, ripensamenti, sottrazioni. Si viaggia anche in direzione opposta, lanciando la memoria dentro la nuvola del futuro. Posso intuire l’accenno a sviluppi che verranno, visioni sempre parziali che mi lasciano libero di immaginare qualsiasi conclusione, nel dominio dei fenomeni imprevedibili. Una pittura di eventi, un lavoro di attese ed attrazioni. Con i colori brillanti dei nastri adesivi a garantire la genuinità dell’ispirazione.
Da ultimo un dubbio, una sensazione. Forse il cuore magnetico di tutta questa produzione di segni è lo spazio del giardino di Enrico, quella pozza di luce, alberi e vegetazione che resta accanto al suo operare. E’ un segreto chiuso che non invade lo spazio dello studio. Ma è un modello importante, quasi un sortilegio naturale cresciuto dentro un miraggio tecnico.
Stefano Loria (testo)
Carlo Zei (immagini)