Gazpacho
Fuori dal locale scende la pioggia,
i taxi sono in fila accanto al marciapiede.
In maniera furtiva mi prendi la mano
e – simulando uno sbadiglio –
mi chiedi se possiamo dormire insieme.
Sul piumone increspato mi aspetti a gambe incrociate, e nude,
con il tuo sorriso da bambina viziata.
Ti passo il gazpacho freddo di frigorifero
per placare la sete
e una maglietta che mi aveva regalato lei.
La indossi con le labbra ancora umide
mentre mi volto dall’altro lato, non so se per pudore
o per vergogna.
Quando mi giro, per un istante brillano le tue costole
nella luce chiara della stanza disadorna.
Finalmente sdraiati, feriti a morte,
i tuoi capelli biondi scivolano sul mio fianco
come monete d’oro
ed è facile immaginare la vastità della campagna georgiana,
i lunghi pomeriggi delle vacanze dell’infanzia.
La vita è uno scherzo, mi dici,
e bisogna avere il coraggio di riderne.
Le tue cosce color latte si abbandonano
sulle mie d’alabastro, ed è tiepida
la tua pelle di principessa.
Il vento che all’improvviso scuote il vetro, e ci fa sussultare,
è già il sogno di un sogno che si disegna nella mia memoria,
Quando mi sveglio, per colpa della caffettiera che sibila in cucina,
mi sento al rientro da un sonno non mio.
Il peso del tuo corpo che preme sul mio petto scoperto,
la sua posa leggermente in diagonale,
hanno la leggerezza dell’aristocrazia decaduta.
Non mi ridare la maglietta, tienila per ricordare
questa notte senza sordidezza,
le parole d’amore che non abbiamo dovuto pronunciare.
Dammi un bacio, però; la tua assenza la colmerà
il sapore amaro del gazpacho che hai lasciato sulla mia bocca.
Ti osservo dalla finestra mentre sgattaioli verso Rubén Darìo,
e il languore che mi assale
non lo sazierà la colazione.
Un taxi si ferma a metà della glorieta
e tu lo prendi al volo, voltandoti, per un secondo, verso di me.
La vita è uno scherzo, mi hai detto,
e bisogna avere il coraggio di soffrirne.
Federico Mastrolilli