Il disgelo
Durante il lock-down mi rivolsi per la prima volta a un cartomante. Stavo molto male.
Sulle circostanze per cui mi imbattei in questo sedicente indovino si potrebbe spendere una parola in più, sulle concatenazioni di eventi che mi portarono a entrare in contatto con quest’uomo, catene di fatti talmente improbabili che solo quelle furono sufficienti a far sì che mi abbandonassi a lui con una notevole dose di fiducia. O forse quando uno sta male è propenso ad accettare di tutto, e in particolare quello che non costa molto.
Dell’indovino sapevo poco. Il cognome, vero o presunto che fosse. Che vivesse in una città costiera. Che di secondo lavoro, o di primo, anche su questo non ero sicuro, facesse il rigattiere o meglio l’antiquario, a seconda del lato del bicchiere che si decidesse di guardare.
L’epoca delle sedute spiritiche, dei tavolini sospesi in aria e delle telefonate in televisione era passata: nel 2020 si comunicava con gli smartphone, e così avvenne con il mio cartomante, tramite un gruppo whatsup, per poi spostarci in una chat privata. L’indovino mi disse di farmi un caffè.
L’ho già preso, grazie, scrissi io. Lo rifaccia ugualmente, rispose lui.
Preparai la moka, bevvi l’ennesimo caffè, e poi su invito del cartomante gli inviai una foto di quello che rimaneva nel fondo della tazzina. Ci furono dei minuti di attesa. Minuti in cui mi domandai se l’uomo stesse analizzando i fondi o semplicemente se fosse occupato a fare tutt’altro, magari alla guida nel traffico cittadino o impegnato in chissà quali occupazioni. Dopo un po’ rispose dicendo che poteva apparire strano, e in parte appariva strano anche a lui, sebbene molte cose strane gli fossero capitate nel corso della sua professione e questa di certo non era la più strana di tutte, comunque ciò che aveva visto nella tazzina era inequivocabile, ovvero che dovessi uscire di casa, in quel preciso momento, e andare a comprare un ananas.
Un ananas, ripetei meccanicamente, senza collegare la parola alla cosa. E poi, gli chiesi, che altro?
E poi dovrai mangiarlo, ma questo verrà dopo, scrisse il veggente, è secondario rispetto a uscire fuori e trovare l’ananas. Vai, adesso.
Così uscii di casa, dopo molte settimane che non mettevo fuori il naso neanche per buttare la spazzatura, delegando tutto alla mia compagna Diana, che invece non aveva perso il ritmo del lavoro e delle passeggiate intorno all’isolato, mentre io niente, chiusura dei boccaporti, apatia e depressione, sempre buttato su un divano a riscrivere una frase o a leggere i notiziari o semplicemente a non fare nulla.
Il portone di casa si chiuse alle mie spalle.
Il silenzio per le strade era sottolineato dai pochi suoni che si sentivano, quasi delle interpunzioni grafiche. Se c’era una voce, quella voce aveva la mia completa attenzione. Una signora parlava col cane, diceva qualcosa che non capivo fino in fondo, ma sembrava investire tutto il mio interesse e quello dell’animale. Camminai così, frastornato, confuso, con un foglio di carta prestampato in mano che diceva ad eventuali controllori che stavo andando a comprare dei generi alimentari, senza specificare che di ananas si trattasse, né dell’indovino di Livorno. La lunghissima fila davanti al supermercato mi fece desistere dall’entrare. In fondo sapevo bene che ciò che stavo facendo era sbagliato, o almeno questo avevo letto: che andare al supermercato per comprare poche cose o peggio ancora una singola cosa era da evitare per non ingolfare il servizio. Così girai a largo con l’idea di raggiungere un piccolo alimentari, di quelli aperti fino a tarda notte, gestiti da uomini per lo più Bengalesi o Cingalesi, o almeno così voleva la vulgata. Ne vidi uno in cui ricordavo di essere stato una volta per acquistare degli alcolici alle ore del giorno in cui gli altri negozi erano già chiusi. Dentro non c’era nessuno, salvo poi scoprire dietro al bancone un ometto con auricolari nelle orecchie che guardava qualcosa nel telefono. Cercavo un ananas, gli dissi.
Ne aveva.
Solo uno? Chiese lui. Sì, grazie è sufficiente così. Mi diede anche un sacchettino per portarlo a casa.
E così camminai per le strade deserte della città, con il mio ananas dentro il sacchettino, tornando a casa, con un certo ottimismo ingiustificato, come se già fosse iniziato il disgelo, e in un certo senso era davvero così.
Simone Lisi
immagini di Carlo Zei
Simone Lisi è nato a Firenze nel 1985. Ha pubblicato nel 2018 il romanzo Un'altra cena, o di come finiscono le cose e nel 2021 il romanzo Padre Occidentale, entrambi con la casa editrice effequ. Lavora alla libreria Todo Modo di Firenze, partecipa e collabora con numerose riviste e premi letterari.