Chakma
Lenny era corso su per le scale. “Finalmente mi hanno dato un lavoro,” ansimò.
“Meno male che i piatti non si lavano da soli,” gli rispose Baxter.
“Un lavoro da modello.” Era diventata la professione di grido. Gente che mostrava la faccia e il fisico per pubblicizzare prodotti commerciali erano i nuovi astronauti.
“Fammi indovinare: ti vogliono per la copertina di Nano Vogue.”
Baxter non l’avrebbe mai confessato, ma invidiava il bel grugno e gli addominali di Lenny, che in vita sua non aveva mai fatto nemmeno una flessione. Un trapianto del viso e la muscolatura di Lenny sul telaio longilineo di Baxter sarebbe risultato in un mostro di bellezza maschile, sebbene dalla schiena cosparsa di brufoli. Ma la rivista Schiena Vogue non esiste.
Lenny non era nano. Era tappo in modo estremo, ma nessun circo che si rispetti l’avrebbe assunto. Devolveva le refurtive dei suoi delitti spiccioli per farsi ritrarre da fotografi professionisti. Un giorno avrebbe trovato l’artista capace di conferirgli altezza, perlomeno su pellicola. Doveva solo continuare la ricerca.
“Il tizio mi ha detto che si tratta di una rivista glamour, ma... “
“Roba da froci, insomma.”
“Per questo lo sto dicendo a te. Che fai oggi pomeriggio?”
“Hai detto un lavoro da modello, non un furto di lubrificanti.”
“Accompagnami, dài. Il tizio mi ha detto di presentarmi da qualche parte a East New York.”
Baxter rabbrividì. Il South Bronx era un quartiere più malfamato, per quanto riguardava il degrado urbano e la violenza delle gang, ma chi abitava davvero nella metropoli sapeva che East New York era peggio, molto peggio. Gli omicidi-decapitazioni che avvenivano lì avevano odore di magia nera.
*
Il treno della metropolitana sembrava voler cambiare traiettoria, tornare alla relativa civiltà. Lenny e Baxter si sentirono vulnerabili appena emersero dalla stazione. Mucchi di rifiuti sembravano cadaveri lasciati fuori per placare i toponi carnivori dagli occhi rossi, schiumanti di rabbia.
Lenny si trattenne dal prendere la mano di Baxter. Meglio non fermarsi. Meglio non guardarsi intorno.
“Hanno rubato pure le insegne stradali.”
“Il redattore della rivista mi ha detto di dirigermi verso Cthulhu Boulevard. Non è sulla mappa: ho controllato. Poi si gira a destra all’angolo di Shub-Niggurath Street. Quindi secondo me dobbiamo solo... ”
“Lenny, mi dispiace dirtelo, ma questo lavoro di modello è una presa per il culo.” Poi aggiunse, “Non c’entro nulla, te lo giuro.”
“Ha detto inoltre che la rivista è alquanto specializzata. Il mio istinto mi dice che è una cosa legittima.”
“Se lo dici tu, mi puzza.”
“Hai mai sentito di una rivista chiamata Skull?”
La strada era deserta, a parte carcasse bruciacchiate di automobili. Fiocchi di ruggine cadevano dal cielo coperto. Gli alberi dei vari progetti di rigenerazione urbana erano finiti nei falò dei barboni. Al loro posto erano cresciuti quei fronzuti contorti detti ironwood, incombustibili e velenosi.
Lenny si mise gli occhiali da sole arraffati da un drugstore mentre scappava senza aver pagato il pranzo. La cameriera anziana urlò, ma il poliziotto pranzante non si mosse dallo sgabello girevole cromato. “Non rischio la pelle né spreco pallottole per occhiali da 99 centesimi,” disse. “Quei furtarelli lì riguardano la guardia giurata.”
“Non ci possiamo permettere la guardia giurata.”
“Cazzi vostri.”
Occhiali scuri da due soldi resero ancora più truce il panorama di East New York. Per rincuorarsi, Lenny voleva cantare una canzone di un musical per cui aveva fatto senza successo un provino.
“Oh certo che ti chiameremo,” aveva sghignazzato il Casting Director. “Quando avremo bisogno di mezze cartucce che non sanno cantare né ballare né recitare.”
Lenny era rimasto in agguato fuori dal teatro e lo colpì in testa con un coperchio di pattumiera. Poi scappò via.
Non c’erano più pattumiere a East New York. I netturbini si rifiutavano di lavorare in quel quartiere. Il vento spazzava i rifiuti dentro le entrate sbarrate dei palazzi abbandonati. L’unico idrante era stato schiacciato da un camion. Un topone dai denti a sciabola issò la zampa per pisciarci.
Baxter voleva sentire una voce umana, anche se era la propria. “Scommetto che perlomeno gli affitti sono bassi.”
“Andiamocene, Baxter. Ho deciso che non voglio più fare il modello. Non è dignitoso.”
La nota di terrore nella voce di Lenny suscitò coraggio in Baxter. “Carriere da modello non crescono sugli ironwood, Lenny. I tuoi sogni di gloria non si avvereranno mai se molli così facilmente.”
Lenny non aveva mangiato niente da quando l’avevano chiamato. Voleva farsi un look da cowboy affamato. Aveva cercato di previsualizzare la sua faccia su una copertina patinata, ma le immagini sfumavano in lastre a raggi X di teschi urlanti. Si strappò gli occhiali da sole che davano allucinazioni.
“Di là c’è un’insegna,” disse. “Per terra.”
L’insegna sembrava essere stata presa a morsi da orsi. C’era scritto, Shub.
“Ci siamo,” disse Baxter.
Lenny si sentì restringere lo scroto. Quell’insegna era la prova che Shub-Niggurath Street esisteva. Voleva dire che anche la rivista Skull apparteneva alla realtà, e che lui ci sarebbe finito dentro, per sempre.
Su quella strada non c’erano numeri civici. Non c’erano campanelli accanto alla porta dell’unico stabile rimasto in piedi. La porta stessa era un coacervo di legnacci inchiodati allo stipite slabbrato per prevenire l’occupazione dai senzatetto. Recava un graffito: Sku.
“Potrebbe trattarsi di un palinsesto,” disse Baxter.
“Come sarebbe a dire? Un palo della tortura per incestuosi?” La porta faceva venire in mente scene di supplizio.
“Un messaggio parzialmente cancellato, con nuovi scritti sovrapposti, diversamente leggibili. Ci potrebbe essere un significato più profondo. Potremmo essere nel territorio dei Savage Skulls. Sarebbero guai. I Savage Skulls spaccano il culo a tutti.”
“Ma va là. I Savage Skulls stanno di casa nel South Bronx. Non siamo neanche vicini. Piuttosto potremmo essere sul territorio dei... ”
Era troppo orribile persino pensarci.
Visto che era lui che doveva fare il modello, Lenny bussò sulla X di compensato che bloccava l’entrata della redazione di Skull Magazine.
Sentirono echi di un tamburo da funerale. Qualcosa di pesante zampettò verso di loro. Toponi idrofobi che si avvicinavano per uccidere.
Un uomo pelato con le sopracciglia rifatte e tatuaggi di teschi urlanti sul collo sporse la testa da una finestra al secondo piano e urlò, “Dovete entrare dal retro. C’è un buco nel muro. Impossibile sbagliare.”
Quel buco era visibile da lontano un miglio. Baxter e Lenny entrarono in uno spazio buio, umido, odoroso di muffa. Baxter scivolò e schiantò contro Lenny, stendendolo. Apparve un alligatore fosforescente. Illuminò le pareti pieni di petroglifi pornografici e impronte di mani a cui mancavano varie dita. Il rettile albino sibilò e svanì con uno svolazzo di coda.
“Ma guarda. Ero convinto che quelle belve non fossero altro che una leggenda metropolitana.”
Una donna dalla voce soave e sexy disse, “La scala è di qua.”
Lenny la trovò col naso. Sperò di non averlo rotto. “Devo ricordare di dare sempre il profilo sinistro,” pensò. L’ultima volta che aveva montato una scala era a una lezione di ginnastica, prima di aver mollato il liceo. Ma quella era stata una scala di corda, e ci era arrivato neanche a metà.
Salirono.
“Cosa ci fa qui lui?” chiese l’uomo calvo e tatuato. “Abbiamo specificato un solo modello maschio.”
“Ehm, è il mio manager,” disse Lenny. “Anche il mio agente, ed è cintura nera di kung fu.”
Erano sbucati in uno spazio industriale in disuso, riempito da una luce cruda e polverosa. L’Empire State Building era visibile in lontananza, attraverso i vetri rotti delle finestre.
“Sei in ritardo,” disse il tizio coi tatuaggi al collo, buttando con fragore un taglierino su una scrivania di metallo.
“I tassisti non amano questo quartiere.”
“Non rimborsiamo per tassì, e poi questo quartiere non piace a nessuno. Precisamente per questo ci piace.”
La donna che aveva indicato la scala si era seduta su una malandata poltrona di cuoio. Allucinantemente nuda, fumava uno spinello. Una creatura pelosa con una catena attorno al collo stava accovacciata ai suoi piedi.
“Oh Ming,” disse la donna, esalando una nuvola profumata d’incenso. “È ancora più tappo e bello di quanto mi avessi detto. È adorabile.”
Baxter soppresse una sghignazzata. “Hai detto che era un lavoro di modello, Lenny. Qui faranno bizzarre sedute porno.” Pensò brevemente a ciò che aveva appena detto. “In altre parole, cento milioni di volte meglio.”
Lenny si irrigidì, ma non nel modo utile per girare riprese porno. Concentrò lo sguardo sul tizio pelato. “Mi avevi detto che Skull era una rivista glamour.” Pronunciò male la parola.
La creatura pelosa ai piedi della donna nuda era un babbuino dal culo rosa. Chiaramente trovava Lenny la cosa più scottante della terra. Prese a masturbarsi.
L’uomo chiamato Ming non era cinese. Aveva basato la sua esistenza, o almeno le sopracciglia, su uno spietato personaggio dei fumetti. “Skull è puro glamour,” disse, pronunciandolo male anche lui. “Non importa ciò che dicono gli altri.”
“Allora perché non l’ho mai vista in edicola?” gli chiese Baxter.
“Perché sfogli solo riviste porno,” disse Lenny. Ed era vero.
“Ah sì? E tu l’hai vista da qualche parte la rivista Skull, Signor Glamour?”
“Certo che l’ho vista. Un sacco di volte.” Ma non era vero.
“No che non l’hai vista,” disse Ming. “Perché Skull è in vendita solo per abbonamento. E siamo esclusivi nella scelta di chi si può abbonare.”
“Intendi dire, solo gente ricca e famosa?”
“Non intendevo questo,” disse Ming, ma poi non specificò. “Che ne dite se ora smettiamo di sprecare tempo. Ci farai da modello, o no?”
Bolle oniriche scoppiarono in testa a Lenny. “Sono modello,” disse. “Quindi vi farò da modello.”
Baxter scoppiò a ridere. Lenny gli mollò una gomitata alle palle. Più in alto non ci arrivava.
Baxter si piegò in due. Il babbuino ruppe la catena che aveva attorno al collo e lo attaccò. Gli sfregiò la faccia con gli artigli, e lo prese a schiaffoni con le manine cuoiose finché la donna nuda non riuscì a trattenerlo.
“Male,” disse lei. “Sei una scimmia cattiva.”
La donna aveva una certa stranezza, a parte essere una naturista esibizionista dominatrice di scimmie in uno studio a East New York. Baxter si accorse della sua fondamentale diversità guardandola tra le dita che reggevano brandelli della propria faccia.
Non erano normali cicatrici da parto cesareo, né segni di una liposuzione andata male, rossore post-depilazione o scarificazioni tribali. Galante come sempre, Lenny borbottò, “Ehi non sarai mica una di quelle donne a tre gambe?”
La creatura nuda e misteriosa lasciò cadere a terra il babbuino, che squittì e tornò a masturbarsi. Con ammaliante lentezza, soppesò i seni e li fece dondolare. “Avete mai visto un mostro-trans con un paio di bocce così?”
Ipnotizzati, Lenny, Baxter, Ming e la scimmia masturbatrice fecero cenno di no con la testa.
“L’intervento che ho subìto riguarda solo me e la mia scimmia,” disse. lei. “Mi sono fatta alterare per accomodarlo.”
L’organo genitale della scimmia era colorito ma triste. La bestia guardò melanconico il grugno glàmouroso di Lenny e schizzò una gettata acquosa. Grumi di polvere coagularono attorno al suo Dna di primate.
Una nebbia di depressione scese su Lenny e Baxter. Sinistri chirurghi avevano reso impossibili teoretici amplessi con questa femmina umana sexy. La donna nuda aveva mandato affanculo il sesso con la propria specie per provare emozioni innaturali con un macaco segaiolo. Sicuramente la procedura era irreversibile.
Ming tolse dalla custodia imbottita una video-camera spaziale. “Mettiamoci al lavoro. Spilungone, chiunque tu sia, è ora che te ne vada.”
La donna nuda alterata si fece seria. Preparò la scimmia per la prestazione. Il cuore di Lenny, come ogni altra sua componente capace di provare emozioni, divenne una vescica piena di acqua ghiacciata rosea.
“Non lavoro con animali,” disse. “Neppure con bambini. E non faccio spettacoli all’aperto.”
Baxter e Lenny sgattaiolarono attraverso il buco nel pavimento, poi dai buco nel muro a pianterreno. Quando sbucarono sulla strada, gli esplosero attorno dei missili gialli. Qualcuno gli lanciava addosso banane. Guardarono su. Era la scimmia. Sembrava vogliosa, arrabbiata, addolorata. Quando finì le banane, scaraventò un pesante posacenere di vetro, poi un mattone rotto.
Baxter e Lenny se la diedero a gambe, lasciandosi dietro una nuvoletta di sudore nervoso.
La metropolitana non circolava più, oppure aveva rifiutato di continuare a servire East New York.
Rischiarono una camminata lungo le rotaie che conducevano dentro il tunnel sotto l’East River. Lacrime verdognole sfuggirono all’infrastruttura della città.
Alla stazione fantasma di Van Brunt Blvd., non più indicata sulle mappe della ferrovia sotterranea, una donna grassa vestita di una sottana di lana con una sciarpa attorno alla testa chiese se volevano delle salsiccie.
“No grazie.”
“Capisco,” sussurrò lei. “Nemmeno a me interessano. Puzzano. Me le ha regalate un macellaio. Piacciono da matti a questi dannati alligatori però. Non so cosa farò quando non avrò più carne da lanciargli.”
Una coda squamosa fosforescente svanì nel buio della galleria.
Matthew Licht è fiorentino di adozione, ha pubblicato diversi libri in inglese e italiano. Sotto pseudonimo collabora a romanzi gialli. Per Stanza 251 scrive settimanalmente il blog bilingue Hotel Kranepool, sull'industria dell'ospitalità metafisica.