Dune

La piscina è vuota.
Ne percorro lentamente il fondo cercando il riflesso dell’acqua mancante. Mi piace osservare l’inclinazione del pavimento azzurrato che determina le variazioni di profondità. Cammino dalla zona in cui l’acqua è alta un metro fino a raggiungere la fossa che accoglie il corpo del tuffatore saltato dal trampolino. Da quel punto - la zona più bassa della vasca - il prato è invisibile e l’orizzonte esterno scompare. Foglie rinsecchite si avvitano in complicati mulinelli.
Il vento freddo arriva alle spalle, supera la sciarpa che porto al collo e scende a graffiarmi la schiena. Mi sto ritagliando una porzione di tempo fuori dal pranzo allestito alla villa. Dietro le dune coperte di sabbia i ciuffi d’erba fluttuano doppiando il movimento delle onde marine che si infrangono a poca distanza. Di mattina presto ho attraversato la spaziosa cucina. Sono uscito dalla grande porta a vetri - così trasparente da essere quasi invisibile – arrivando sull’erba del grande prato tagliata corta. 
Giunto alla piscina svuotata, oltre la quale si stagliavano le ultime montagnole di sabbia prima dell’oceano, ero stato investito – per un gioco di specchi infranti e ricomposti che producono strani echi – da una costellazione di esperienze private e fatti collettivi. Studio le sottili crepe fiorite sulle pareti della vasca. Formano arabeschi che mi riportano indietro. 

Rifletto sugli ultimi anni di vita di Pier Paolo Pasolini. Nessuno sapeva che stava lavorando a Petrolio. Libro trampolino per tuffarsi nelle correnti sotterranee del malessere italiano. Libro incendiario che dà fuoco alla nostra casa. Tutto brucia. Le fiamme corrodono le pareti, il pavimento, il soffitto. Così possiamo finalmente scorgere le linee guida, le strutture ischeletrite che reggevano l’intero edificio. Qualcosa di scritto, costruito per frammenti in collisione, con grandi aperture sulle dinamiche di potere politico e affaristico che sempre tornano ad ingabbiare l’Italia. Movimenti di denaro e di voti. 
Pasolini resiste alla pressione del tempo. Nelle pagine di Petrolio afferma che la sua decisione è “non di scrivere una storia ma di costruire una forma”. Ha creato una forma che continua a bruciare ancora oggi. Allo stesso modo nella mia mente continuano ad ardere i pozzi di petrolio del Kuwait, incendiati durante la Guerra del Golfo dai soldati iracheni in ritirata. Li ho visti in un documentario di Werner Herzog trasmesso dalla televisione in una notte estiva, a tarda ora, inquadrati dall’alto volando in elicottero, con le lingue di fiamma altissime che penetravano dentro nuvole nere così dense da creare il buio in pieno giorno.    
Le dune adesso sono diventate grigie. Sembrano fatte di cemento. Il cielo è nuvoloso. La luce cade come filtrata da un velario e le ombre proiettate sul terreno dalle masse volanti trasformano tutto il paesaggio.
Lei cammina e controlla la forma dei propri passi sulla sabbia umida. Indossa un piumino in pellicola di acciaio termosensibile: cambia colore al variare delle condizioni ambientali. Prima - quando era uscita assonnata a respirare l’aria del mattino - aveva un bel colore giallo limone. Ora si è trasformato in un blu di tenebra avvolgente. 
Sorride soddisfatta del vento che le tocca il viso. Tutta la sua figura emana una quieta energia. I capelli biondi scompigliati. E’ sempre felice di arrivare su questo lido di sabbie e roccia. Non conserva dolorose nostalgie del passato. Si avvicina e mi abbraccia. Scambio di calore. Totale aderenza dei corpi. 
Passeggiamo lungo il confine tra sabbia ed acqua. La spiaggia è enorme, ventosa per il maltempo dei giorni precedenti. Schiaffeggiati dagli spruzzi andiamo incontro alla tempesta, ci allontaniamo sempre di più dalla casa e dagli amici che stanno aspettando.
Mi fermo davanti ad un grande tronco d’albero trascinato a riva dalle onde. Vedo forme levigate piegate ad arco, sembrano enormi corna di cervo piantate nella sabbia. 
Ho in mente la fotografia satellitare di una costa frastagliata, il profilo irregolare della terra bruna a contatto con il blu grigio del mare. La visione da alta quota suggerisce un senso di completezza. Ma esistono dettagli che osservati dalle grandi altitudini rimangono invisibili.

Stefano Loria (testo e immagine)