Tracce
Tracce.
Servivano a qualcosa, ma non riesco più a ricordare esattamente a cosa.
Forse dovevano raccogliere un taglio di luce nella mattina promettente del mio studio, quando mi pareva di avere un disegno mentale da concretizzare, un modello da far vivere su carta o sopra la tela, un colore da incendiare come una esplosione solare, oppure uno sfondo atmosferico da costruire tono su tono, con lentezza energetica, inserendo nebbia, lampi, più chiaro, più scuro, più sottile, più materico, con più ombra, uno schermo, un sortilegio, un risultato che sarà equilibrato, ma non troppo, dovrà contenere anche una frattura, uno strappo, per attivare il magnetismo negativo dell'assenza, quella moltiplicazione del niente che sviluppa quantità inspiegabili, risultati finali così differenti dal mio primo desiderio, quindi la volontà sconfitta in questo progetto è un elemento prezioso, una liberazione, la matita che segna un profilo esatto, l'impronta della linea colore indispensabile, le gocce in fioritura cadute in base a leggi inflessibili, mi ricordano che abito in una stanza regolata dalla gravità, sottoposta alle mie malinconie, sempre in luce, aspettando la quiete, la calma fertile nel tempo, la preparazione prima di cominciare, la scintilla che dal silenzio a sorpresa innesca il processo, il riparo, la necessità di fare.