Gianluca Didino- Essere senza casa

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Nel settembre di due anni fa, alla fine della lettura di The Weird and the Eerie - straordinaria raccolta di saggi di Mark Fisher, meritoriamente pubblicata da Minimum Fax - avevo molto amato anche addentrarmi nella postfazione di Gianluca Didino, trovandola davvero all'altezza della situazione. Perché riusciva a collocare la figura del grande critico culturale inglese dentro un orizzonte appassionante e dettagliato, analizzandone idee e propositi con utile profondità e al tempo stesso con grande chiarezza.

La stessa impressione di respirare aria purissima, gustando una felice incandescenza delle idee, l'ho ricevuta leggendo Essere senza casa, libro che raccoglie in modo organico una serie di saggi nati per destinazioni differenti (principalmente prestigiose riviste come Doppiozero, Internazionale, Prismo, Minima & Moralia) qui tutti ben concatenati a formare un paesaggio composito ma coerente, all'insegna di una ossessione-metafora importante, quella della casa, declinata in tipologie differenti. All'inizio la casa è un approdo circondato da un alone di difficoltà, esiste in forma di assenza, è un vuoto che esalta la condizione di precarietà, cifra esemplare dei tempi strani in cui ci troviamo a vivere. Poi troviamo la classica casa infestata da forze oscure che ci minacciano: sono minacce che arrivano dall'esterno o sono nostre pulsioni interne, ben nascoste, dalle quali stentiamo a liberarci ? Se preferiamo la prima ipotesi dobbiamo leggere Lovecraft, se crediamo alla seconda opzione ricorreremo a Sigmund Freud. Ma in ogni caso mi sembra che le case di Didino siano infestate dagli stessi spettri che tormentavano Mark Fisher. Il rimpianto per i futuri possibili, più giusti e sostenibili, che non si sono concretizzati; l'amarezza per un presente distopico che invece si è concretizzato e sta trionfando ovunque; la sensazione che il futuro sia stato cancellato (ricordate il no future scandito dai Sex Pistols all'inizio del movimento punk ?) da cui si sviluppa una deflagrante tensione politica. Questo tessuto di inquietudini crea una sorta di bordone continuo che accompagna il lettore dentro un percorso disseminato di vortici e stravaganze temporali.

Ho letto questo libro un paio di volte, a distanza di pochi mesi. I risultati di queste letture sono stati assai diversi. La prima volta sono stato investito da una sferzata di entusiasmo mentale, dovuto alla sapienza con cui l'autore è riuscito a tenere insieme i tanti mondi letterari, filosofici, sociali, evocati. Da questo punto di vista Essere senza casa è davvero un libro-prisma attraversato da incessanti flussi di riferimenti e riflessioni. Rinuncio a fare un elenco esaustivo di tutti i temi proposti, ma per darvi un' idea molto approssimativa, ecco una scheletrica sintesi.

Nel capitolo Case si affronta la crisi abitativa di Londra e partendo dalle narrazioni di J.G.Ballard vengono analizzati spazi urbani degradati per toccare le problematiche degli attuali modelli di città; si assume come data di ingresso nell'epoca ipermoderna (estremizzazione del postmodernismo) gli attentati dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. In Soglie entra in scena il perturbante freudiano e ci si occupa dei progressi delle neuroscienze usando il romanzo gotico, il cinema di fantascienza, serie tv come Westworld (meravigliosa, una delle mie preferite in assoluto). Nel capitolo Paesaggi il concetto di “demondificazione” di Martin Heidegger serve come ponte per entrare nei mondi – pieni di trappole percettive e trucchi mentali – inventati da Philip Dick e David Lynch. Leggendo la parte Fantasmi comprenderete la natura spettrale di internet e dovrete familiarizzare con il concetto di “hauntologia” coniato da Jacques Derrida che vi servirà per addentrarvi in una serie di paradossi temporali e culturali, tutti incentrati sui temi dell'inconscio, della nostalgia e della critica politica, per approdare ad una fantastica disamina dei “fantasmi elettrici” ottocenteschi. In Storie vengono esplorate alcune caratteristiche specifiche dell' ipermodernità, con particolare attenzione al potere enorme assunto dalle macchine narrative del nostro tempo, nelle loro differenti declinazioni: dalle sofisticate serie tv proposte da Netflix fino all'attuale successo e moltiplicazione di tante teorie del complotto.

Terminata la seconda lettura di questo caleidoscopico libro, devo dire che la sensazione dominante è stata una inquieta consapevolezza del pericolo. Conoscendo già tessuto e riferimenti dei vari saggi, sono stato maggiormente influenzato dalle sfumature scure che le considerazioni di Gianluca Didino emanano. Ho percepito con maggiore intensità una pressante vibrazione di fondo. Essere senza casa propone una brillante ed accurata cartografia di temi culturali oggi fondamentali, ma al tempo stesso conserva all'interno della sua fitta trama concettuale un nucleo radiante di ansia, poiché insegue – dentro i rischi di dominio delle reti di comunicazione sociale, negli scenari politici in agguato, nella consapevolezza che il progresso scientifico potrà modificare la nozione stessa di essere umano - la grande fatica di dare un senso al mondo.

In chiusura del libro ho trovato sollievo, perché vengono indicate due attitudini che possono funzionare da talismano, proteggendoci all'ingresso dell'epoca ipermoderna: la disponibilità all'ibrido e al multiforme e la capacità di accogliere realmente l'Altro. Accettare la metamorfosi – usando al meglio la nostra identità frammentata e cangiante – per sfidare l'incompresibilità del mondo. Un'ottima mossa di apertura.

Gianluca Didino – ESSERE SENZA CASA

Minimum fax, Roma, 2020


Stefano Loria