Origami # 2 - Beatrice Meoni

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Dovrebbero essere osservate, intuite, assaporate dentro una sessione di insonnia, le opere di Beatrice Meoni. Verificate attraverso quella lente di esaltata stanchezza che ci dona il restare svegli oltre la barriera del sonno, quando ci addentriamo nella foresta ostile e incantata delle nostre passioni mentali. Vorrei assumere quella chiarezza notturna, quella attitudine a percepire nettissime separazioni, passaggi di tensione, dislivelli di colore ultra sottili. Per giungere ad una sfasatura, ad una epifania, quando non ti importa che il tempo scorra per il verso ritenuto giusto, in avanti, e invece con sorpresa, con una morbida inversione, le ombre di Henri Matisse possono annunciare grandi novità in arrivo, un paradosso (il primo) che aveva affascinato i pensatori del postmoderno - i filosofi della mia giovinezza - e davanti ad un'opera di Beatrice Meoni me ne posso riappropriare, per leggere le sue incursioni tutte rivolte verso un futuro già stato, ma attenzione, non in una posizione di già visto e già sperimentato, questo è il (secondo) paradosso, ma in una posizione che conduce a costruzioni effettivamente inedite, mai viste prima. Così, a partire da una elaborazione che mi pare attingere ad un repertorio di oggetti degno di Giorgio Morandi, la modificata curvatura del tempo finisce per alterare le forme. Decostruendo e poi rimontando i pezzi secondo un proprio istinto di ricerca, Beatrice Meoni pone questioni che investono la fisiologia della visione ed il rapporto tra occhio e cervello: che cosa significa vedere ? Quali processi attiva la contemplazione di un oggetto dentro la nostra mente ? Se dipingo a memoria, ad occhi chiusi, cosa posso ritrovare ? Colori, linee di frattura, vibrazioni, piegature segrete dei confini, tutto si scompone e si ricompone in una configurazione molto diversa dal punto di inizio dell'intero processo. Brocche, vasi di fiori, teiere, alla fine diventano simulacri, perdono il loro peso materiale ma guadagnano una prepotente capacità di generare pensiero. Nelle sculture queste scomposizioni sono ancora più evidenti, essendo l'opera costruita letteralmente per frammentazioni e ricostruzioni dell'oggetto, le linee di frattura divengono le strutture stesse dell'opera: le brusche rotture funzionano come linee progettuali di una differente rinascita. In un saggio del filosofo Remo Bodei pubblicato ormai molti anni fa – si intitola Scomposizioni - le prismatiche decostruzioni di un breve testo di Hegel davano impulso ad una catena di riflessioni sempre più profonde e significative. La stessa cosa mi succede guardando le opere di Beatrice. Sprofondo in un vortice, poi mi ritrovo salvo. Sono passato indenne attraverso i filtri, le metamorfosi, i dispositivi evocati dall'artista. Ho visto oltre, adesso sono più saggio.

Stefano Loria