Melancolia
In quell’epoca profana e quindi, per opposizione, profondamene segnata da superstizioni di ogni tipo, era consueto che lo assalisse la melancolia, in quei lunghi pomeriggi seduto in biblioteca a contemplare le pareti.
Vi era una componente di solitudine, malgrado lei fosse seduta vicino a lui, che lavorava ai suoi Power Point. E che l’enorme cubo vuoto fosse alla fine pieno di altre persone che studiavano come avrebbe dovuto fare lui.
Aveva avuto il tempo di riflette e definire tre nuovi tipi psicologici di melancolici che erano: il rappresentante di commercio, che trovava il capostipite in Gregor Samsa e esempio paradigmatico nel compagno di sua madre, incerti tra una fuga per e una fuga da;
secondo tipo il camionista, che come il rappresentante di commercio derivava per la nazione, ma consapevole della sua maggiore vicinanza a Dio, nel suo osservare le gambe delle donne dall’alto della sua seduta, irraggiungibili in basso così in alto.
Infine, quella del cercatore di arselle. Professione romantica, quest’ultima, per il suo essere al di fuori della legalità, col rischio di prendersi multe fino a mille euro.
Eppure, eppure, pensava Tutte-le-Fortune, il melancolico cercatore di arselle, col suo rastrello a setacciare la sabbia, col suo passo lento, con i suoi capelli riarsi dal sole e la sua aria furtiva, sempre con un occhio a controllare l’orizzonte per scorgervi la motovedetta della guardia costiera, era questa la melancolia che lui sentiva in quella biblioteca. Seppure fosse incapace di spiegarsene le ragioni.