Perfect
Nel bar in cui prendevano il caffè, che ricordava una Parigi dove non avrebbero vissuto mai, passava una canzone alla radio: era una canzone della giovinezza, segnata da un post-grunge, post-rock mai veramente capito.
Era un pezzo degli Smasching Pumpkins che lui ascoltava in autobus quando percorreva altre rette e cerchi della sua vita, e allora la canzone in quel bar si faceva simbolo.
Perfect: non poteva che alludere alla perfettibilità dell’essere, che ogni cosa era in un modo e non in un altro. Sottintendere al fatto che nelle loro vite c’era niente di possibile. Chiarire che il colloquio per l'America a cui lui era arrivato secondo, doveva andare esattamente così.
Mentre nel bar bevevano il caffè, e quella canzone suonava di sottofondo, Tutte-le-Fortune le diceva che se lei partiva e lui restava, doveva esserci un motivo ben preciso.
Ma forse se lo raccontava soltanto.
Restavano in silenzio, un cielo pesante e umido sopra le loro teste, mentre camminavano verso la biblioteca. Passavano come ogni giorno davanti ad un crocicchio dove vi era una madonna affrescata. Anche l'immagine sacra quel giorno significava che la strada non sarebbe stata sbagliata, ma necessariamente giusta.
Poi rientravano dalla pausa caffè dentro all'enorme cubo vuoto che era la biblioteca, con le sue colonne, i suoi tavoli e il lucernario grigio.