Unpaid Bills, part 3

The room, if it was a room, felt cavernous. The air moved as though there were a door or a window open at the back, wherever that was. Spotlights flitted on and off like halogen-powered fireflies. There were people in there. Details of their faces showed in color, then faded back into blackness and grayness.

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“Who’s there?” the Night Porter whispered. “How long’ve you been here?”

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The woman with the red nails held one of them up to her even redder lips. “The Unpaid Suite bends like time and space,” she said. “Whoever’s in a tough spot out there can stay. Check-out time is never. But we have to be sorta quiet about it.”

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“The world outside’s a hard place.” A woman’s head hovered in the dark haze. She wore an eye patch. “But everything in here is soft and warm,” she said.

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“Here, feel, if you don’t believe.” The woman with the red fingernails took the Night Porter’s hand and made him feel her softness and warmth. They felt real enough.

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“Out there, you have to work,” said a man whose lips made it seem as though he’d once played the trumpet for a living. “Once you disappear, you don’t.”

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“But I like my job,” the Night Porter said. “Gives me time to think and do…” Then he remembered that The Management no longer tolerated employees’ goof-offishness. How far did Managerial authority reach?

“Come further in,” the woman with the red nails whispered. “Don’t tell me you’re afraid to go all the way with a woman you barely know.” She removed a crucial garment as an enticement.

Chicken wasn’t on the menu. The woman with the red nails slipped off into the general darkness, left a clothing trail in her wake.

The Night Porter followed, obediently. ‘We must be somewhere over the train station at this point,’ he thought, after a while. He could no longer see any surroundings, but heard a woman singing a song with no words in the darkness that lay ahead, if it was ahead.

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“You know, I really oughta get back to work,” he said, aloud. The only answer was, La la la, ba ba loo. The Night Porter turned around. ‘All I gotta do is pick up the clothes she strewed behind her,’ he thought. ‘And I’ll be back where I started.’

He moved like a giant anteater through unfamiliar, invisible terrain, gathered soft, warm, loose presences that smelled of female. He heard voices, saw partial faces along the way. “Goodbye,” he said. “Gotta get back to work. Don’t worry. I won’t tell anybody. You can all stay here as long as you want, as far as I’m concerned.”

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When he emerged from behind the 11th floor ice-machine, he saw he’d picked up colorful plastic bags stained with tar, crude oil and a substance like rancid mayonnaise.

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***

Fatture non pagate, parte 3

La stanza, se era una stanza, sembrava cavernosa. L’aria si muoveva come se ci fosse una porta o una finestra aperta al retro, ovunque fosse. Delle luci si accendevano e spegnevano a intermittenza, come lucciole alle allogeni. C’era gente. Dettagli dei loro visi spuntavano a colori dalle ombre, per poi risvanire nel nero e nel grigio.

“Chi c’è?” sussurrò il portiere di notte. “Da quanto tempo siete qui?”

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La donna dalle unghie laccate di rosso ne mise una davanti alle labbra ancora più rosse. “La Suite anticipata si piega come il tempo e lo spazio,” disse lei. “Chiunque abbia guai là fuori può restare qui. Il check-out non si effettua mai, ma comunque non ci dobbiamo far sentire troppo.”

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“Il mondo è un posto duro.” Un viso di donna levitava nell’oscura bruma. Portava una benda all’occhio. “Qua dentro invece tutto è caldo e morbido,” disse.

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“Tasta qui, se non ci credi.” La donne dalle grinfie rosse prese la mano al portiere di notte e gli fece sentire il suo calore e la sua morbidezza. Sembravano vere.

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“Là fuori bisogna lavorare,” disse un uomo, le cui labbra sembravano quelle di un trombettista professionale. “Quando sparisci non sei più obbligato a fare niente.”

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“Ma il mio lavoro mi piace,” disse il portiere di notte. “Mi dà tempo per pensare e per fare… ” Si ricordò che La Gestione non tollerava più il bighellonare da parte degli impiegati. Fin dove arrivava l’autorità manageriale?

“Vieni ancora più dentro,” sussurrò la donna dalle unghie rosse. “Non avrai mica paura di andare fino in fondo con una donna appena conosciuta?” Si tolse un cruciale indumento per motivarlo.

La vigliaccheria non era ammessa. La donna dalle unghie color sangue arteriale si lasciò dietro una scia di vestiti.

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‘Saremo sopra la stazione dei treni a questo punto,’ pensò il portiere di notte, dopo un po’. Non riusciva più a vedersi attorno, ma sentiva una donna cantare una canzone senza parole di là nel buio.

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“Sai, veramente dovrei riprendere servizio,” disse a voce alta. L’unica risposta era, La la la, ba ba lù. Il portiere di notte si voltò. ‘Se raccolgo la roba che si è spogliata strada facendo,’ pensò. ‘Arriverò al punto di partenza.’

Muovendosi come un formichiere gigante in un territorio sconosciuto e invisibile, prese a raccattare da terra oggetti morbidi e caldi che odoravano di femmina. Sentì voci, vide volti parziali. “Addio,” disse. “Devo tornare al lavoro. Non vi preoccupate. Non dirò niente a nessuno. Potete stare qui finché volete, per quanto mi riguarda.”

Quando riemerse da dietro la macchina dei cubetti di ghiaccio dell’undicesimo piano, vide che aveva in mano dei sacchetti di plastica macchiati di catrame, nafta, petrolio grezzo e una sostanza simile a maionese rancida.

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matthew licht