The Krystal

The bell on the counter of the Kranepool’s reception desk has a tone somewhere between Nepali temple bowls and the foghorns in Istanbul Bay. A late-night arrival rang it insistently.

The Night Porter shook himself from a dream in which a former girlfriend said all was forgiven. Then a horned centipede crawled from her mouth.

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“Wake up.” The new guest’s face was also something from a fragile dream, but she sounded as though she meant business. “I need a room for the night.”

“That’s what hotels are for.” The Night Porter riffled the register, even though he knew there was only one, extravagant vacancy. He just wanted to look at her a bit longer. “I’ll need to see a passport or a driver’s license, please.”

“Couldn’t we leave this one off the books? I’d rather nobody knew I was here.” The guest slid a chunk of rose quartz across the counter.

“That’s identification enough, ma’am,” he said, and handed her the key to the Suite of the Cave Bear. “Feel free to touch the petroglyphs.”

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Her leopard fur coat slid off her bare shoulder on her way to the elevator.

‘So slender,’ the Night Porter thought. ‘Such pale skin.’

The phone rang in the middle of another dream, set in a long-forgotten Art Deco subway station. “The walls are closing in,” she whispered, a note of panic in her voice. “The cave bear skeleton moved.”

‘Impossil,’ the Night Porter thought. ‘The thing’s a fossil.’ Reality resumed. “I’ll be right up, ma’am,” he said.

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He ran up the stairs and knocked, uselessly. The door refused the passkey. A fire extinguisher did the trick. The cave bear skeleton seemed to have flayed and devoured a flesh leopard. The prey’s skin hung from its stone jaws, still warm. There was no blood, no grue. Only a faint perfume.

The window onto the balcony was open. The palms outside the Kranepool waved in a cold breeze. No one had leapt. A freight train whistle blew, far away.

She was gone, again.

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The lump of rose quartz glinted on the reception desk downstairs. ‘Thanks for a piece of eternity,’ the Night Porter thought. He put his elbows on the reception counter, his head in his hands. ‘I missed you so much.’

***

Il kristallo

Il campanello sul banco della reception di Hotel Kranepool ha un tono tra quello delle ciotole dei templi nepalesi e le boe del golfo di Istanbul. Una gradita ospite notturna lo suonò insistentemente.

Il portiere di notte si scosse da un sogno in cui una ex-fidanzata l’aveva perdonato. Poi le strisciò di bocca un centopiedi color sangue.

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“Sveglia.” Anche il volto della nuova arrivata era un fragile sogno, ma dal tono si capiva che non scherzava. “Ho bisogno di una stanza.”

“Per questo esistono gli alberghi.” Il portiere di notte sfogliò il registro, ben sapendo che c’era una sola, stravagante suite libera. Voleva solo poterla guardare più a lungo. “Favorisca un documento, per favore.”

“Non si potrebbe fare in modo più discreto? Preferirei che la mia presenza qui restasse segreta.” L’ospite posò sul banco un grosso cristallo di quarzo rosa.

“Ciò può andare bene.” Le porse la chiave della Suite dell’Orso delle Caverne. “Si senta libera di toccare i petroglifi.”

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La pelliccia di leopardo le scivolò di spalla mentre andava verso l’ascensore.

“Com’è snella,” pensò il portiere di notte. “Che pallida carnagione.”

Il telefono squillò in mezzo a un altro sogno che si svolgeva in una stazione ferroviaria Art Decò dimenticata dal tempo. “Le pareti stanno per schiacciarmi,” sussurrò disperata la nuova ospite. “Lo scheletro dell’orso si muove.”

“Impòssile,” pensò il portiere di notte. “Si tratta di un fossile.” Sopravvenne la realtà. “Arrivo subito.”

Corse su per le scale. Bussò, inutilmente. La porta della suite rifiutò la chiave universale. Un estintore la sfondò con un tonfo attutito. Sembrava che lo scheletro dell’orso delle caverne avesse appena scorticato e divorato un leopardo. La pelliccia della preda pendeva dalle sue fauci di pietra. Non c’era sangue né brandelli di carne. Solo un lieve, triste profumo.

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La porta del balcone era aperta. Le palme fuori dal Kranepool ondeggiavano nella gelida brezza. Nessuno si era buttato di sotto. In lontananza si udì il lamento di un treno merci.

Era sparita, di nuovo.

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Il cristallo rosa era ancora sul banco della reception a pianterreno. “Grazie per questo tocco d’eternità,” pensò il portiere di notte. Mise i gomiti sul banco della reception, la testa tra le mani. “Mi sei mancata così tanto.”

matthew licht