Black Humor
A colleague writes from San Francisco:
A young man who worked here at the Manor Plaza Hotel made it big, then vanished. Recently he’s sort of reappeared, right here where he started out.
He’d been in the Air Force, but never talked about his rank, or whether the Government sent him to Vietnam. The only job available was bellhop, and he took it.
He didn’t drop suitcases, break service elevators or start trouble with guests, but his eyes said, “Sure, I work in this hotel, I’ll carry your bags and wheel the Room Service cart into your room, but I’m really far, far away.”
An incident that would’ve gotten anyone else fired was his shot at the big time.
One evening after work he hit the Manor Lounge in his street clothes. He had some deal with the bartender, who made awfully strong cocktails. When the featured singer took a break, the off-duty bellhop clambered on stage and commandeered the mike.
Let’s say there was some commotion.
The drunk hotel guest routine might’ve been an act.
The thing is, when the crooner came back from the dressing room and tried to reclaim the stage, the audience practically threw shoes, ice cubes, lemon peels.
The bellhop finished up his shtick, if that’s what it was, and left the hotel.
Management, impressed, cut him a deal: first half-shift you shag luggage, the rest of the evening you act drunk, do impressions and make our guests die laughing.
This didn’t last long. The young comedian’s career went meteoric, then strangely faded to nothing and early death.
The Manor Lounge never became a hot spot. Singers still come and go, along with the occasional comedian. On breaks, a voice floats through the speakers. “The devil made me do it,” the voice says, but doesn’t specify.
Or, “What you see is what you get.” But there’s nothing to see, or get.
Whoever’s around laughs anyway.
Umorismo nero
Un collega scrive da San Francisco:
Un giovane che lavorò qui al Manor Plaza Hotel divenne una stella e poi scomparve.
Di recente è riapparso, diciamo così, nel posto dove iniziò la carriera.
Era stato nell’aereonautica, ma non disse se il governo l’aveva mandato nel Vietnam. L’unico lavoro disponibile era quello di fattorino, e lo prese. Non lasciò cadere valigie, non ruppe l’ascensore di servizio, non litigò con gli ospiti, ma con gli occhi diceva, “Certo, lavoro qui in albergo, porto le vostre borse e spingo il carrello del servizio in camera, ma in realtà sono molto, molto lontano.”
Un incidente che avrebbe fatto licenziare chiunque altro fu la sua occasione.
Una sera dopo il turno, vestito normale, entrò nel Manor Lounge. Era d’accordo col barman, che faceva cocktail maledettamente robusti. Quando il cantante fece una pausa, il fattorino in borghese montò sul palcoscenico e prese in mano il microfono. Scatenò il pandemonio.
La parte dell’ospite d’albergo ubriaco marcio forse era un gag.
Quando l’intrattentitore ufficiale tornò dal camerino e cercò di riprendere il controllo della situazione, il pubblicò lanciò scarpe, cubetti di ghiacchio, scorze di limone.
Il fattorino finì la sua routine, se tale era, e uscì dall’hotel.
La gestione, colpita dal suo stile, gli fece una proposta: la prima parte del turno fai il facchino, per il resto della serata ti fingi ubriaco, ti trasformi e fai morire dal ridere gli ospiti.
Non durò molto. Il comico decollò come una meteora, poi stranamente sfumò nel nulla e morì giovane.
Il Manor Lounge non divenne mai un locale di grido. I cantanti vanno e vengono, come anche qualche comico. Durante gli intervalli fluttua una voce per gli altoparlanti. “Fui costretto dal diavolo a farlo,” dice la voce, senza specificare.
Oppure, “Ciò che vedi è ciò che ottieni.” Ma non c’è nulla da vedere.
Il pubblico ride comunque.