Ri_connessioni [capitolo primo]

Questo primo capitolo ospita il pensiero di soggetti che, in sintonia con lo spirito di Ri_connessioni, operano a vario titolo nell’area del suono non commerciale.

I protagonisti sono:

Vittore Baroni   (VB)    Blow Up magazine

Francesco Giomi   (FG)    Tempo reale associazione

Raffaele Pezzella    (RP)   Unexplained Sounds network

 

Quale ruolo pensi possa avere la musica in questa epoca caratterizzata da aspetti fortemente negativi quali conflitti aperti in molteplici angoli di mondo, fragilità sociale dilagante, rapporti umani vissuti in larga misura digitalmente?

(VB) Il mondo raramente ha vissuto lunghi periodi liberi da guerre, conflitti sociali e altre problematiche negative, la situazione odierna si caratterizza soprattutto per la rapidità con cui una quantità esorbitante di informazioni (e suoni) circola per il pianeta, quindi ci appare più chiaramente in tutta la sua "negatività". Voglio dire che anche il ruolo della musica, o meglio i suoi diversi ruoli, sono probabilmente gli stessi fin dall'inizio dei tempi: unire le persone (anche in cerimonie magico-rituali e religiose), intrattenere per danza e ascolto, ma anche fare pensare, arricchire culturalmente, dato che le composizioni musicali trasmettono emozioni e contenuti artistici anche molto complessi, con funzioni liberatorie, illuminanti, catartiche, meditative, ecc. In alcune epoche, le circostanze storiche hanno fatto sì che la musica e ancor più l'unione di musica e testo in opere liriche e canzoni avesse anche una precisa influenza sul rapido modificarsi della società, basti pensare al ruolo svolto dal rock e dal folk revival negli anni '50-'60 nella trasformazione dei costumi giovanili e come cassa di risonanza per battaglie su diritti civili, anti-militarismo e anti-imperialismo. Oggi, paradossalmente, la rete digitale che mette in permanente comunicazione l'umanità e diffonde capillarmente ogni genere di musiche, anziché fungere da collante pare agire più come un'orwelliana struttura di indottrinamento e controllo di massa, saturando e livellando ogni esigenza di ascolto con una sorta di "panem et circenses" globalizzato. Ritengo però che, riuscendo a distinguere e isolare - compito tutt'altro che facile! - le opere rilevanti che ancora vengono alla luce, la musica possa continuare a svolgere il suo indispensabile ruolo educativo e formativo per le nuove generazioni.

 (FG) La musica si è sempre dipanata in periodi “difficili” (sebbene periodi facili secondo me non esistano) ed ha sempre avuto ruoli e funzioni multiformi. La differenza di questi tempi è probabilmente da ricercare nella modifica radicale delle relazioni sociali dovuta al digitale; ma una delle cose più belle della musica è la possibilità di suonare insieme, con le sue “tattilità”, le sue  “gestualità” lo stare uno vicino all’altro: penso che questi tratti non potranno mai essere disattesi.

Certo è che i nostri tempi portano anche dei radicali mutamenti nei processi di creazione, molti dei quali peraltro già introdotti dalle avanguardie storiche del secondo Dopoguerra, ma che oggi possono essere assorbiti e trasformati in normali processi di produzione. Mi riferisco, per esempio, alla creatività collettiva (progetti in cui la responsabilità autoriale è distribuita e condivisa) così come a una ridiscussione delle modalità di fruizione (durata di un pezzo musicale, tipologia di ascolto e partecipazione, utilizzo di spazi non convenzionali e così via).

Comunque la si pratichi, la musica, costituisce uno strumento di coesione sociale, sia nella sua dimensione rituale che in quella più informale. Se essa possa anche funzionare da stimolatrice di istanze politiche non sono in grado di dirlo con sicurezza: in passato è stato anche così, ma oggi, in un mondo culturale in cui forse la crisi maggiore è quella dell’assenza di articolazione di un pensiero collettivo, della filosofia che non sembra più in grado di orientare il percorso degli artisti, il ruolo della musica temo possa diventare esclusivamente quello di un rifugio, non in grado di influenzare la società attuale. Ma spero vivamente di sbagliarmi.

 (RP) Si tratta di una questione aperta da molti decenni. Nel 1968 avremmo dato sicuramente una risposta meno scettica; oggi siamo vittime di tutti quei “futuri” che non si sono mai realizzati. Ma ci si potrebbe chiedere all’inverso come sarebbe un’epoca “senza musica” e cosa ne conseguirebbe dal punto di vista psicologico e sociologico. Probabilmente uno scenario più che orwelliano. Nei primi anni 90’ Jacques Derrida sosteneva che lo spettro di Marx aleggiava sull’Europa, quando tutti dopo la caduta del muro, ritenevano che il capitalismo neo liberista fosse l’unica via. Da un punto di vista politico si tratta di capire se lo spettro del rinnovamento e del ruolo che le arti e la musica possono avere nelle nostre vite, continuerà ad aleggiare o meno.

 

 

In questa era digitale la musica è vista sempre più come un prodotto usa e getta, qualcosa da consumare prima di passare avidamente a qualcos'altro. Qual’ è il tuo punto di vista a riguardo?

(VB) Credo che esistano diversi tipi di musica e diverse tipologie di ascolto. I mass media e i canali di diffusione digitale danno forse l'impressione che esista un unico magma indistinto di produzioni sonore ma in realtà, come non possiamo paragonare le barzellette della "Settimana Enigmistica" e i sonetti di William Shakespeare, così non possiamo confondere nel medesimo discorso produzioni create proprio per un uso rapido ed epidermico (dai jingle pubblicitari ai trend da classifica più standardizzati) e lavori appartenenti a diverse tradizioni, come quella della canzone folk e d'autore, del songwriting rock-blues, della classica contemporanea, del jazz, della ricerca elettronica e via elencando. Certo è difficile riuscire a ricavare, nella nostra fitta agenda di impegni quotidiani, il tempo necessario a gustare e approfondire un'opera musicale nel modo più compiuto e proficuo. Però questo è un piacere/dovere che ci dobbiamo concedere, magari accompagnato da ricerche biografiche sull'autore e informazioni sull'opera (come quelle solitamente riportate sulla copertina dei dischi "fisici"), se vogliamo veramente conoscere e apprezzare quel lavoro invece che fermarci ad una fruizione superficiale e distratta. Come ogni espressione di valore, l'ascolto consapevole richiede passione, impegno, dedizione.

 (FG) Questo è un atteggiamento personale, nella nostra tipologia di società qualsiasi prodotto culturale è spesso visto come un “consumabile”, ma ciclicamente (e soggettivamente) l’interesse delle persone può virare verso modelli di tipo diverso e si è in grado di approfondire e selezionare con maggiore consapevolezza. Non ultimo il fatto che certi prodotti diventano dei “classici” (a prescindere dalla loro età) e come tali abbattono la barriera del trascorre del tempo: è accaduto anche per la musica elettronica storica dove molti capolavori costituiscono delle pietre miliari del repertorio, così come alcune figure carismatiche (penso per esempio a Stockhausen, a Parmegiani, a Cardew, ecc.) rimarranno per sempre icone della produzione più innovativa del Novecento.

 (RP) Il consumo ossessivo di qualunque prodotto dell’ingegno umano, che abbia una valenza artistica o meno, è frutto dell’avanzamento tecnologico, e della conseguente disponibilità a tempo, e spesso a costo, zero. Una digital democracy che, se da un lato offre quasi a tutti l’accesso all’informazione, e alla musica come informazione sonora, dall’altro comporta un eccesso orizzontale dell’informazione stessa, con conseguente incapacità di approfondire il contenuto, e quindi di ricavarne un valore per sé e per gli altri. L’argine e la selezione sono il punto nodale della questione.

 

L’impossibilità di fare concerti alla quale costringe la pandemia alimenta il desiderio di musica dal vivo ma, per adesso, più che live in streaming non è dato fare. Cosa pensi di questi concerti virtuali?

(VB) Ho visto centinaia di concerti ma possiedo anche centinaia di dvd musicali, con registrazioni di performance storiche (e non) a cui non ho potuto assistere per motivi anagrafici o geografico-logistici. Ovviamente un concerto visto in registrazione video o in streaming è un'esperienza assai diversa da un concerto vissuto sul campo, ma allo stesso modo potremmo dire che un concerto visto in un club con poche decine o centinaia di spettatori è un'esperienza molto differente rispetto ad un'esibizione in un festival o stadio ricolmo di centinaia di migliaia di persone (dove l'artista magari è un lontano puntino, visibile solo grazie alle proiezioni in diretta su schermo gigante). Sono esperienze diverse ma che, ciascuna a suo modo, soddisfa la necessità e curiosità di vedere i musicisti in azione, di assistere in diretta alla creazione musicale e magari interagire con essa con cori, applausi o altro. Oso sperare che presto le restrizioni da pandemia saranno solo un brutto ricordo, c'è stato e c'è comunque chi si è ingegnato ed è riuscito, anche in periodo di (semi)lockdown, a realizzare concerti o progetti sonori congegnati in modo da rispettare tutte le norme di sicurezza (eventi all'aperto o in particolari location, numero ridotto di partecipanti, distanziamento tra gli spettatori, uso di mascherine, ecc.). E anche quelle sono state esperienze a loro modo speciali e importanti.

(FG) La rete è già estremamente piena di contenuti, di varia tipologia e qualità, non so quindi se aggiungerne altri e basta sia la soluzione giusta. Secondo me la risposta più stimolante sta nella capacità di studiare modi per reinterpretare creativamente i nuovi mezzi, come è sempre stato nell’avanguardia di qualsiasi disciplina artistica. In questo senso dovranno giocare un ruolo fondamentale gli artisti stessi per concepire strutture, modalità e contenuti nuovi. Il modo di fruire e creare musica  può venire radicalmente messo in discussione, per cui non solo ci vogliono strumenti nuovi ma un approccio metodologico (e anche politico) in discontinuità con il passato. Forse siamo in presenza di una rivoluzione culturale in cui abbiamo l’occasione per “democratizzare” maggiormente i processi della musica e perché no, ridistribuire la ricchezza (che credo ci sia ancora oggi nel mondo della cultura) tra tutti i protagonisti, operando secondo logiche e meccanismi molto più agili, leggeri e sostenibili per tutti.
Lo streaming in quanto tale è un nuovo mezzo (come lo è stato a suo tempo la radio per esempio), si tratta di capire cosa esso possa stimolare e come lo si possa piegare ad una forma articolata di pensiero creativo; per questo nell’ultimo anno e mezzo mi sono prodigato a cercare di immaginare costrutti che lo utilizzassero, dal progetto Homeplaying (che usava le mappe giornaliere del meteo come sistema di regole per l’improvvisazione) al Glitch Party (una festa sonora in remoto totalmente improvvisata e casuale), fino all’idea di Studiovox, dove l’approdo in rete contrasta con una dimensione intima, speculativa e sperimentale della performance in studio.

 (RP) Li considero un surrogato, un simulacro. Aiutano temporaneamente, in attesa del palco vero e proprio.

 

Esiste uno scenario formato da etichette, riviste, rassegne, radio, ecc…. che costituisce il supporto più valido per la diffusione del lavoro di nuovi artisti. Quanta forza pensi abbiano queste situazioni per far sentire la loro voce in uno scenario sempre più vasto e ancora dominato dalla musica commerciale?

(VB) La diffusione di Internet e la digitalizzazione della musica hanno radicalmente modificato lo scenario planetario, non esiste più in realtà una contrapposizione tra musica "sotterranea" e "overground", dato che tutto risulta ugualmente alla portata di un clic. Le riviste musicali cartacee hanno una tiratura sempre più esigua, webzine e simili hanno in massima parte una funzione meramente divulgativa, non di taglio critico e tantomeno "militante". Non sono affatto certo quindi che esista ancora come un tempo un reale dualismo, un vero attrito fra "musica commerciale" e altri generi di espressione, se non come falsa e pretestuosa contrapposizione creata ad arte per meglio promuovere un dato prodotto (vedi i Måneskin che vincono Sanremo con un brano hard rock anni '70 appena aggiornato, passando sui mass media per rivoluzionari innovatori). Esistono musiche diverse con diversi bacini di pubblico e, data l'infinità di musicisti in attività oggi e la grande massa di nuovi prodotti disponibili ogni giorno, non sorprende che quel che resta del mercato discografico risulti atomizzato in tante piccole e piccolissime nicchie, con solo un limitato numero di autori in grado di capitalizzare sui grandi numeri (spesso supportati dal nuovo volto delle Major). Tutto cambia, nulla cambia.

(FG) Si assiste quasi, specie nella dimensione underground della musica, ad una rete caotica di possibilità: certamente è bello, rassicurante e formativo farne parte, godere delle sue opulente opportunità di sviluppo relazionale, suonare o ascoltare musica nuova, buona o meno poco importa. Ma è altrettanto importante per gli artisti provare ogni tanto a tagliare la pellicola protettiva e sbucare in nuove finestre e nuovi ambienti, quelli per esempio delle realtà della cultura “di superficie”, certamente più pericolose, rischiose e astringenti per natura, ma anche probabilmente più consapevolmente profonde e foriere di soddisfazioni, di maggior prestigio e di sviluppo internazionale. Per ascoltare, per imparare e anche per provare a creare fuori dal proprio garage. Mi chiedo allora, in tutto questo, quale sia il ruolo dei soggetti della musica istituzionale? Non dovrebbe esserci tra le loro vocazioni anche quella di fare da incubatori di questo fertile terreno? Di dare spazio, tempo, risorse all’emersione di realtà espressive territoriali per far crescere la comunità con un sano confronto culturale ed un opportuno ricambio generazionale? Non mi pare proprio sia così ed è completamente inutile immaginare denominazioni improbabili e fantasiose se poi non si pratica la quotidianità del rischio, dell’esplorazione notturna della scena, della scelta, delle relazioni serie e paritetiche e ci si rintana in “politicamente corretti” circuiti autoreferenziali o nel proprio orto dorato (per taluni) di un Paese in cui i soldi per la cultura sembrano apparentente ancora esserci. In questo scenario ritengo ci siano istituzioni che cercano di fare la loro parte, interpretando il ruolo “accademico” come l’occasione per praticare i concetti di profondità, pratica, apertura, rete di relazioni: questi sono alcuni dei compiti che penso e spero di attuare nel corso del mio lavoro istituzionale, sia a Tempo Reale che al Conservatorio di Bologna.

 (RP) La musica commerciale per definizione stessa “deve” essere la musica dominante. Tuttavia le cosiddette musiche alternative, sperimentali etc.., proprio grazie alla tecnologia Internet e mobile, vivono una fase di rinascita. Tanti artisti e piccoli editori, me compreso, non avrebbero potuto accedere al mercato musicale senza questo nuovo stato di cose. Chiaramente il networking di labels, web zines, radio streaming etc.. è fondamentale per questo processo di crescita, fermo restando che la qualità è il metro di valutazione sia del messaggio che del mezzo.

 

Cosa ti piace della musica attuale?

(VB) Un po' accuso la mia condizione anagrafica e devo ammettere di essere portato a ricercare, in prima battuta, nuove opere di autori che già frequento da decenni, o magari anche lavori storici che finora non ho avuto modo di ascoltare. Al tempo stesso, cerco per quanto possibile, anche per "dovere professionale", di monitorare nuove sonorità e talenti emergenti, aiutato dal passaparola di giornalisti, amici e addetti ai lavori che conosco e stimo. A differenza di altri periodi in cui mi ritrovavo a seguire e ad approfondire specifici generi e filoni di ricerca (come il post-industrial o il neo-lounge, per fare due esempi), oggi il panorama è molto più vasto e frammentato, quindi si tratta più di scoperte episodiche e tra loro assai distanti, con scelte all'apparenza quasi schizofreniche. Non sono mai stato molto in sintonia coi gusti mainstream, per mia natura sono portato ad apprezzare artisti bizzarri, anomali, trasversali, non a caso fra i miei preferiti di sempre figurano personaggi come Residents, Negativland, David Tibet, Incredible String Band. Anche oggi quindi, finisco con l'apprezzare soprattutto il lavoro di outsider, autori ignorati dal grande pubblico, con alcuni dei quali ho magari anche stretto amicizia e rapporti di collaborazione per i dischi delle Forbici di Manitù (dai Maisie ad Andrea Tich, da Fabrizio Tavernelli ai No Strange). Cosa c'è di meglio dell'amare la musica degli amici con cui stai condividendo un tratto di strada?

 (FG) La musica ha sempre avuto bisogno di “maestri” nel senso più nobile e ampio del termine. Artisti che hanno segnato un periodo, che hanno tracciato linee da seguire e che, con il loro lavoro, hanno funzionato da punti di riferimento per le generazioni successive. In Italia, dopo la sbornia eccezionale delle avanguardie storiche e dove i nostri maestri sono stati personaggi come Berio, Nono, Maderna, Stratos, Berberian (e chi più ne ha più ne metta) cosa è accaduto negli ultimi vent’anni? Esistono oggi dei nuovi maestri italiani? La mia risposta attuale è positiva, i maestri vengono dall’ambito dell’elettronica, inevitabilmente: Luigi Ceccarelli e Elio Martusciello, per esempio. La loro ricerca – giunta ormai ad un livello di grande maturità – è articolata, poliedrica e come si conviene ad un maestro, densa di collaborazioni illustri, di periodi stilistici diversi, di approcci sempre innovativi ed esemplari.

Al di là di questo, non ho preclusioni di genere o di linguaggio, mi interessa la musica che riattualizza i propri valori di energia, potenza e freschezza tanto nell’ambito del suono fissato su supporto che della musica dal vivo; una musica che incorpora germi più o meno estesi da altre espressioni, riconoscendone il valore sia in ambito culturale che su quello puramente sonologico; che distilla dinamicamente il rapporto tra struttura formale ed improvvisazione grazie ad una consapevolezza storico-analitica e ad una gestione del fare musica sempre priva di atteggiamenti superficiali. Mi interessa quindi un’espressione musicale che si affianca ai molti fermenti di novità della musica elettronica che emergono da più parti in Europa, in Canada, in Asia e che, in questo momento di stagnazione del progresso linguistico e di affermazione statica di un mainstream, rappresentano un elemento di grande interesse e speranza per chi si occupa di ricerca musicale.

 (RP) Ascolto molti tipi di musica, del passato e contemporanea. Ho un debole per la “hauntology” in musica e per le espressioni musicali connesse alla “dark culture”. Inoltre mi piace indagare le proposte provenienti da paesi che fino a 10-15 anni fa non erano nemmeno segnati sulla mappa sonora (Iran, Libano, Indonesia etc..). A parte qualche eccezione, come la Korea del Nord dove lo stato non consente l’accesso alla rete Internet, viviamo una fase storica in cui possiamo relazionarci a chiunque, indipendentemente dal luogo del pianeta. Sebbene la globalizzazione sia un side effect inevitabile, esistono molte sacche di resistenza sonora, musiche che contaminano antiche tradizioni con nuovi approcci tecnologici. Per dirla alla David Toop, un “Oceano di Suono”.

 Infine alcuni link per conoscere meglio il lavoro dei partecipanti:

https://www.blowupmagazine.com/

https://temporeale.it/

https://unexplainedsoundsgroup.bandcamp.com/

 

 

DANIELE CIULLINI