TORMENTONI E LANZICHENECCHI

Dopo anni di ascolti musicali, di tutte le tipologie, ma con particolare propensione nei confronti della musica più sperimentale, astratta, rumorosissima, o praticamente silenzio, su vinili, cd e cassette e qualsiasi cosa possa contenere musica, pieni di stimoli elettrici, pause, sovrapposizioni elettroacustiche, aritmie, intonazioni fuorvianti delle voci, detonazioni, micro frammenti granulari, jazz scandinavo, scale misolidie, armonici giavanesi, e poi di concerti acusmatici, improvvisazione destrutturata, teoria della rimodulazione del respiro, dopo anni - dicevo – di estrema rarefazione,  precisione e attenzione e decodifica per il raggiungimento di uno stato isostatico, dopo tutto questo, succede.

Succede che, appena alzato, nella penombra mattutina della cucina, con la moka sul tavolo, e il cucchiaino  che riempie il filtro di caffè, sei  come posseduto, ma che dico, trapassato da un lampo, senti la tua voce intonare, brevissimo ma perfettamente intellegibile, il ritornello di una di quelle canzoni – oddio canzoni – e allora ti guardi intorno, è presto non ti ha sentito nessuno, sei salvo: ma non è così, tu sai che è successo.

E allora pensi: chiamo un’analista, no, mi sento in cuffia il cofanetto live dei Throbbing Gristle, oppure vado a piedi ad un concerto per solo oboe sulle Dolomiti, devi depurarti, espiare, e poi come può essere successo?

Ma quest’anno è così, team di produttori, cantanti, case discografiche hanno dato fondo alle proprie risorse e hanno rovesciato sul mercato musicale almeno una decina di brani con lo scopo principale di avvitarsi in modo definitivo nei nostri neuroni, prendendo in prestito motivi già sentiti, arrangiamenti fritto misto tra twist e techno, riferimenti espliciti ad altre canzoni estive e così via. E poi c’è uso e abuso dell’autotune sulle voci: e qui va fatta una pausa per raccontare di cosa si parla. L’autotune è un dispositivo elettronico hardware o software che allinea una parte vocale cantata alle note di una linea base che viene programmata nell’effetto stesso. E’ nato per correggere l’intonazione scorretta durante le esibizioni dei cantanti in studio di registrazione e principalmente dal vivo. Dalla fine degli anni 90 si è cominciato ad utilizzarlo in modo creativo (con “Believe” di Cher) fino ad oggi in cui diventa praticamente un “suono” con le voci doppiate, sfasate, che rendono i testi spesso poco comprensibili ma che danno la pennellata del nuovo su canzoni che spesso non lo sono.

In questi giorni polemiche a sfare sull’uso e l’abuso dell’autotune, tra cantanti “classici” (vecchi e/o meno giovani) e i nuovi  - scontro generazionale, ora mi aspetto manifestazioni in piazza – e però sono cose già sentite, come le chitarre elettriche distorte che facevano solo rumore, la musica elettronica cha tanto te la fa il computer e via così. C’è ben altro, direte voi, i granchi blu per esempio, ma quelli non fanno musica, almeno per ora e quindi non ne parliamo.

Semmai vorrei osservare che queste polemichine insinuano per qualcuno la possibilità anzi la voglia di dettare una regola, in questo caso sul canto, ma può essere facilmente trasposta agli strumenti e alle musiche in genere: ovvero chi decide cosa è valido, fino a quale linea è desiderabile arrivare, perché oltrepassandola la musica è solo rumore. Ma allora quand’è che il rumore può essere considerato musica, forse quando il rumore è organizzato in qualche sistema di griglie, di schemi o forse quando solamente e semplicemente ci  accende i neuroni perforati di cui sopra.

Non esiste una posizione oggettiva, dipende tutto da noi stessi, dal riconoscimento di un’emozione o di un fastidio, tanto dalle posizioni degli astri quanto da un marciapiede sconnesso.

Un ronzio ripetitivo, percussioni lontane, una bassa frequenza vibrante, suoni di scariche elettriche, una voce metallica: sono ad un concerto di un ensemble di improvvisazione elettroacustica o forse no, sono nella sala di attesa di un istituto di analisi, il ronzio è un neon che non funziona, le percussioni sono porte che sbattono nel corridoio, la bassa frequenza la produce il distributore di bevande e la voce è quella neutra che annuncia il prossimo turno. Decidiamo noi cosa ascoltare e come e a volte può essere un esercizio utile e divertente dislocare i suoni, immaginarli in un altro contesto e lasciare che la nostra immaginazione sfugga alle regole. 

E i lanzichenecchi che c’entrano? Niente, è che mi serviva un titolo da “clickbait” e visto che se ne è parlato tanto ce li ho messi, tanto c’è posto per tutti, a Firenze hanno addirittura una loggia in piazza della Signoria…

 

P.S.

L’estate sta finendo

Roberto Cagnoli