TRAP, CHE PAURA!
E lo so, siete a casa come (quasi) tutti, e vorreste sentir parlare di musiche confortevoli e confortanti, ma sarebbe troppo facile viaggiare sul sicuro, parlare della buona musica che fu, (che poi è sempre quella che ascoltavamo a vent’anni, e quindi dipende da quando avete avuto per l’ultima volta vent’anni…).
Invece no, oggi racconto di un libro uscito in questi giorni per la casa editrice milanese Agenzia X: si intitola “Trap – storie distopiche di un futuro assente” – e lo scrive UFPT (è l’acronimo del suo nome d’arte non un nuovo virus), musicista, produttore, dj, con diploma di Conservatorio a Firenze (e questo gli da maggior credibilità…).
A questo punto i più attenti avranno già immaginato che qui, e nel libro naturalmente, si parla di musica trap. Prima di cliccare su “Chiudi” la pagina e andare a lavarvi le mani per almeno un minuto con l’amuchina, continuate la lettura fino alla fine e poi scegliete, perché la conoscenza è sempre meglio del rifiuto.
Se la parola “trap” vi evoca tipi con tatuaggi sulla faccia, voce stravolta dall’autotune (cercate su google) e testi spesso cialtroni, misogini, o nel migliore dei casi incomprensibili, ci siete, però vedete solo una piccola e nebbiosa porzione del tutto. Quando ho sentito le prime cose definibili trap, a causa di una specie di deformazione non-professionale, mi sono interessato più alle basi ritmiche, fatte di pochi elementi, inciampi, accenti sbagliati: i rappati/cantati spesso irritanti e monotoni non mi spostavano granchè. Tutto l’insieme mi risultava comunque fastidioso e però continuava ad incuriosirmi il motivo per cui non riuscivo ad esserne indifferente. Per la prima volta una musica “g-giovane” mi disturbava e allora ho pensato che forse ero vecchio e mi sono ricordato quando ero io g-giovane e i commenti degli “anziani” sulla musica rock che era solo rumore, i Beatles capelloni, tutti drogati, solo tump tump, etc. e ho voluto capire e ascoltare di più e mi sono accorto che questa era veramente una musica – al netto poi del gusto personale – che creava uno stacco generazionale netto.
Nonostante che le produzioni siano provenienti prevalentemente dal web e il genere nasca all’interno della rete e sia indirizzato verso ragazzi smartphonizzati dalla nascita, cercare storia e notizie attendibili e oltre al facile e colorito commento parafolkloristico è complicato e non soddisfacente. E quindi?
Finalmente, dopo questa lunga premessa, arriviamo all’oggetto di questo articolo, ovvero il libro di UFPT: diciamo subito che è un libro vero non un instant-book con font da 16ppt ma un saggio appassionato e approfondito, non solo sulla musica, che comunque rimane centrale, ma è un ritratto sociale a cominciare dalla nascita dapprima sfumata e poi sempre più persistente di un genere, di uno stile di vita, di un ambiente urbano che a partire dagli Stati Uniti e in particolare da Atlanta, si è diffuso nel mondo.
UFPT rimane lontano da qualunque mitizzazione e descrive con chiarezza, profondità e ironia un periodo storico tra la fine del secolo scorso fino ad oggi fotografando personaggi e luoghi in rapporto allo spazio temporale dello sfondo, tracciando il cambiamento di questo genere affiancato e parallelo all’evoluzione o involuzione dei vari social network e all’uso degli stessi come veicolo comunicativo e di affermazione del proprio valore personale.
L’importante lavoro di ricerca e la quantità di intrecci di personaggi, storie e suoni non sono mai didascalici e la personalizzazione del racconto e della parola aiuta non poco la lettura, con una serie infinita di suggerimenti di ascolto, di approfondimento non solo musicale.
Il percorso che parte dall’America prende vie diverse e viene scavato a fondo con una serie di interviste a singoli e crew italiane che rappresentano uno spaccato sociale della gioventù: interviste nelle quali risaltano spesso punti di vista inediti sia sulla musica che sulla vita e sulla prospettiva stessa di vita. E’ poi per me molto curioso sentire i ragazzi che distinguono gli anni di nascita come indicatore di salto generazionale anche se in realtà si parla solo di due tre anni di differenza, che però comportano importanti divergenze di atteggiamento e pensiero.
A completamento di tutto questo troviamo poi un inserto stile fanzine in bianco e nero – foto e testi – su DJ Screw, uno degli iniziatori del genere, un inserto fotografico sempre b/n sui luoghi e i protagonisti dalla trap, il contributo puntuale di Vibrisse e la post-fazione di Stefano Di Trapani.
E poi attenzione (nota dell’autore): consumare preferibilmente entro il 23 novembre 2020.
Il libro lo trovate qui (Agenzia X Edizioni)