CONCEPTRONICI

Lo scorso ottobre Simon Reynolds, giornalista e scrittore di musica e contemporaneità, esce sulla rivista online Pitchfork con un articolo nel quale fa il punto sulla musica elettronica dell'ultima decade evidenziando un ciclo di tendenze che paiono essere in fase conclusiva e coniando un termine per definirla: “Conceptronica”.

Lo svolgimento del lungo articolo tocca le varie fasi che hanno caratterizzato i cambiamenti stilistici e concettuali, con la precisione e la dedizione di altri scritti di Reynolds, che ha la capacità di fotografare in modo assolutamente efficace e personale le mutazioni di stile e di pensiero.

Lo spunto di questa riflessione nasce dalla puntata di un programma, 3A, dedicata proprio all'articolo di Simon Reynolds e trasmessa su Fangoradio, la web radio la cui attività è già stata raccontata su queste pagine, durante la quale, anche con il contributo di ospiti esterni, è stata commentato l'articolo e le musiche al quale fa riferimento. Quello che segue è quindi un'appendice che tiene conto di quanto sopra.

“Conceptronica” è una parola funzionale e funzionante: in estrema sintesi indica artisti che presentano il proprio lavoro musicale come sviluppo di un concetto spesso accompagnato da altri media ad arricchire ed esplicare i temi trattati.

Intanto il nome "Conceptronica" è geniale e terribile in quanto non lo vedo usato in modo molto positivo, però definisce bene una situazione che nella musica elettronica ed in particolare durante le esibizioni live, è reale, ovvero presentarsi con un concetto, un tema da sviluppare, un'ispirazione molte volte aiuta a dare uno spessore (anche talvolta fittizio) a quello che si suona. Molte volte, anche con grandi nomi, il concept è più grande e ingombrante della sua risoluzione nello svolgimento del live e quindi la musica suonata non è attinente oppure (!) lo sembra perchè ha una struttura che va bene con tutto...Della serie: mi invento un concept intelligente e un pò criptico e poi suono le stesse cose!

Personalmente sono attratto dall'insieme audio/visual che è uno degli sviluppi naturali della musica elettronica, che da molti anni si divide tra scopi più o meno dance e la sperimentazione o ancora la musica pop. Rispetto a quanto racconta Reynolds però vorrei fare un distinguo tra le situazioni legate a piccoli spazi e i grandi festival dove la visibilità passa anche attraverso mega show video in cui la spinta all'utilizzo di proiezioni, laser e quant'altro è legata più ad una bulimia tecnologica piuttosto che ad una ricerca di una integrazione dell'espressione artistica musicale.
Reynolds ha però sovrapposto il concept da festival (= marketing) con chi fa ricerca reale su un concept e lo sviluppa, anche con media diversi e qui il parallelo non mi sembra né giusto né efficace.
Il confronto poi con l'IDM (il genere iniziato i primi anni “90, con etichette come la Warp e artisti come gli Autechre) è valido solo sul rapporto di ambedue i generi (anche se Conceptronica non è un genere ma un contenitore) con la musica da club, per il resto l'IDM ha portato suoni e atmosfere realmente nuovi che ora non vedo. Con il post-punk poi il parallelo è ancora più azzardato e fuorviante. Altri artisti, citati più volte nell'articolo, come Chino Anobi, mi sembrano sopravvalutati e non destinati a lasciare tracce significative.

In ogni caso l'articolo ha il pregio di focalizzare un momento e gli artisti citati e molti altri che ci sono – che ci saranno – spostano la loro posizione sull'aspetto performativo, sulla creatività fluttuante.

Si tratta di attraversare una corrente e di esserne trasportati con la consapevolezza di essere parte attiva. Il fattore da considerare, oltre a quello musicale o meglio sonoro, è quello temporale dell' espressione immediata, del racconto di sé nel momento in cui avviene: proviene da lì la prolificità di uscite discografiche – reali o virtuali – come esigenza di documentazione e esplicitazione dei propri passi e l’esigenza per alcuni di continue esibizioni live come attestazione di esistenza.
Un altro aspetto è quello della tecnologia che ha prodotto all'inizio e fino a poco tempo fa una parabola creativa parallela, ovvero l'oggetto tecnologico inteso come strumento musicale vero e proprio o nuova tecnica o software, che diviene parte del processo creativo perché suggerisce nuove strade e visioni.

Tuttavia in questo momento c'è un approccio da parte di molti artisti che potrei definire post-artigianale, il recupero di tecnologia del passato prossimo, il riuso di oggetti del nostro passato prossimo – videoregistratori, registratori a cassette, vecchi telefoni, etc, come generatori sonori, in forma anomala, imprevista dal consueto utilizzo di questi oggetti la cui tecnologia è arricchita dal valore aggiunto della memoria. Si potrebbe intendere come un'etica del riciclo ma forse si sconfina verso intenzioni non volute o cercate.
E poi il ritorno ad un minimalismo, ad un fai-da-te, produrre musica, suoni, rumore organizzato con piccoli manufatti i cui limiti rappresentano la peculiarità e definiscono uno stile.
Aggiungerei infine l’ibridazione reale col mondo artistico contemporaneo consistente nella trasformazione dell'opera musicale nell'installazione sonora, che in certi casi rappresenta una realtà aumentata del momento creativo, spesso con variabili costanti che la aggiornano in tempo reale.

Ed è, infine, il tempo l'elemento cardine della composizione.

L'articolo originale di Simon Reynolds

Il podcast su Fangoradio

Roberto Cagnoli