Bestiarius immaterialis - Makemake
Idoli di pietra incastonati nella terra nuda, simulacri di Homo, dove si poggia l’uccello sacro, a metà di un cammino circolare, eterno ritorno, un pellegrinaggio rituale verso la vita nuova. Le creature che incontrano il Makemake si tramutano: è una metamorfosi volatile. Crescono ali sulle schiene dei topi, dei bipedi, financo dei marini, rettili e pesci. Prominenze sottili e tese. Rigonfiamenti dello spirito.
È tutto là il potere del dio: la metamorfosi.
La mutazione si offre agli occhi della rondine di mare oscura che si riconosce nel gioco di specchi in cui tutti le somigliano, tutti possono volare, tutti gli esseri beccano in cerca di cibo vermoso. Si sente vicina ai roditori, la sterna fuscata, bianca e ricoperta di nero, o negra ma col ventre d’avorio.
Diventa pesce o inizia a correre su due zampe, sul bagnasciuga sterminato e tra le statue che si trasformano in volatili immensi, di pietra. Immagini irriconoscibili di un volo impossibile.
Il viaggio della rondine si effonde nelle sue uova: esternazioni dell’esistenza. Homo le ruba, le porta via, leggere e fragili, sui palmi delle zampe dal pollice opponibile, fino alla sua isola, per rivendicare il suo ruolo nel rituale della mutazione, per divenire, esso stesso, un angelo di Rapa Nui, un linguaggio divino, una parola che si perde nell’oceano, come una goccia che cade, assieme al temporale, sulla distesa di nulla liquido cui tutti anelano e che ogni cosa circonda e contiene.