Bestiarius immaterialis - Le sirene
Donne fino all’ombelico, uccelli marini dalla vita in giù. Esseri divisi tra cielo e mare, squarciati da un’esistenza passata tra i corpi acquatici ad anelare la vita immersa nel vento. L’istinto le porta a respirare sott’acqua da branchie squamose e sopr’acqua da bocche carnose e morbide, che non sentono l’effetto dell’abisso e del suo gelido tocco prolungato. Conoscono il canto supremo che tutto muove e sono maestre nell’esecuzione, armoniosa e controllata, che solo Orfeo, per necessità, ebbe l’ardire di contrastare, e nondimeno superare in potenza. Poggiano il loro corpo, perfetto a metà – una metà per gli occhi vitrei dei pesci e l’altra metà per le percezioni aeree dei viventi sopra l’orizzonte – lo depongono, il corpo – i due corpi – sulla superficie di scogli affioranti, coperti da soffici alghe bagnate. Lì, come predatori incuranti, pigri felini pronti a scattare, s’immolano in vorticosi cantici che provengono dall’affiorare del Tempo e della Vita. Striduli urli che ricordano la nascita e la morte, il richiamo dell’assoluto che tutti gli esseri avvertono e, sentendolo nell’aria intrappolata tra le loro orecchie, non possono rifuggire; devono seguirlo, disperatamente, fino al precipizio e oltre, fino al sogno di una vita passata a metà, tra cielo e mare.
L’illusione scatenata dalle sirene non è un gioco, non è una trappola. Sono le stesse maliarde ad ammaliarsi, loro medesime, a illudersi che l’unione acquatica con gli abitanti delle terre emerse possa finalmente creare una congiunzione, liberarle da quella prigione liquida a metà.
È sincero il richiamo delle sirene. È folle e sincero il richiamo delle sirene. Una richiesta d’aiuto, un singulto, un grido, un’invocazione disperata: un canto impossibile cui sottrarsi è impossibile.