Bestiarius immaterialis - Il gabbiano di terra
Vi è una radura che prima non era radura, immensa. Nessuno sembra aver veduto o avvertito con altri sensi – finanche col percepire del cuore – la sua creazione.
Il gigantesco spiazzo desolato, stepposo, vuoto, si trova nella rotta migratoria di uno stormo di gabbiani. Sarebbe più corretto dire che si trovava, in quanto la rotta – da quando esiste la radura – non è più percorsa dai volatili, e non esiste più la migrazione, e lo stormo è inevitabilmente divenuto branco. Un branco di gabbiani cacciatori.
Nei secoli il gabbiano si è annerito e le ali, come incurvate dal vento forte della radura, si sono rimpicciolite per dare rapidità alle sferzate nell’aria, alle picchiate e ai cambi di rotta, ciechi e istintivi. Le zampe palmate hanno sviluppato artigli oscuri e taglienti e si sono adattate al terreno, indurendosi e trasformandosi in tenaglie, la cui presa inestricabile è potenziata dalla membrana, che servì per nuotare, a mo’ di trappola, per oscurare la vista alla preda e spegnere le sue speranze salvifiche.
Il gabbiano caccia tutt’al più roditori, persi nel tentativo di traversare la radura, da un bosco al bosco più vicino, irraggiungibile, ma comunque migliore dell’inferno da cui provengono. A volte semplicemente s’imbattono nella gigantesca radura per caso, correndo alla ricerca di qualcosa o qualcuno, e lasciano il bosco – un po’ come i gabbiani di terra fecero un tempo che non è più il Tempo: persero la rotta.
Il gabbiano di terra ha deformato il suo becco in un diamante liscio e tagliente, e quando si avventa sulla preda, dall’alto del volo, la punge di nero conficcandosi al terreno, come una freccia. Quando sente che la vita ha definitivamente lasciato il corpicino, ritorna alle sue consuetudini primeve: lo raccoglie nel suo becco, dove inizia a digerirne la vita, per tramutarla in un ammasso di ossa e carne e sangue, dividendola allo stormo, al branco, e tenendone il meglio per sé.