Bestiarius immaterialis - Il cigno rosso
Ogni penna è una sbuffata d’assoluto.
Il manto gonfio, come poggiato s’una crinolina, quando si apre in ali maestose, crepuscolari, il sole l’illumina, stella vicina, perché brilli d’incanto puniceo. Vedere il cigno rosso equivale a sentire il cosmo intero racchiuso nell’ultimo battito di ciglia. Vedere il cigno rosso è morire. Letteralmente morire.
Così – albero che cade nel bosco deserto, percepito solo da futuri spettri, nella sua valle di lacrime – il cigno rosso è l’unico essere al mondo a conoscere il Linguaggio, a padroneggiare, nel canto, la Voce.
Decanta i versi di un passato raccontato al presente nel futuro, e di un tempo senza Tempo dove la metamorfosi è l’estasi degli esseri illuminati, rimestati in un turbine, creatore esistenziale. Linee di linguaggio meravigliose trasfondono la magia di una visione celeste e purpurea. Da quel frammento dell’intero Linguaggio si diffondono la ragione del cigno e lo scopo supremo del rosso.
Sotto l’implume vello morbido, però, un corpo nudo rimugina sulla propria condizione, agogna la fine, sente che nulla di tutto ciò che vortica attorno a sé, e che egli stesso emana, abbia senso alcuno, e, in effetti, lo sa, lo ha sempre saputo, i versi che invoca, ossessivamente, ne sono l’affermazione, la profezia genetliaca della Voce: nel Nulla è il senso.
Apre il becco e con forza rimastica le liriche della genesi, ripercorre le lettere come uno Sciamano, sussurra le s ed espira le p e ogni vocale illumina una parte del cielo che poi viene sfumata dalle diversità sostanziali delle consonanti. I blu labiali sulla profondità della volta dipingono lo spazio dei gialli dentali e dei verdi palatali; il tocco velato dei rossi velari è l’ultima organza d’innanzi alla Verità che esplode sui piccoli occhi del cigno, chetando l’angoscia della sua consapevolezza estrema – del Linguaggio, del canto e della Voce – e inane.