Bestiarius immaterialis - Ficus sanguinis
Al margine della Grande Foresta – dove tutto il possibile è potuto succedere, e le piante sono anche animali e rocce, e viceversa; dove la vita è un’onda inconcepibile che mischia le cose e crea, senza sosta, quello che sarà da quello che potrebbe essere – vive il ficus sanguinis e in ogni altro luogo anche, egli vive.
La bestia immobile.
L’arbusto onnipresente.
Ciò che differenzia le bestie dai vegetali fratelli del ficus è il sangue: ebbene, questo albero è una bestia, è un animale. Nelle arterie, che si torcono all’interno del tronco robusto, scorre liquido rosso pulsante, aspirato e poi soffiato via da un cuore gigantesco e verde, fino alle ultime punte di rami e radici oblunghe. Non si nutre di terreno, dell’acqua e del sole; non conosce fotosintesi clorofilliana e non sa che gli altri suoi simili respirano assieme al mondo e per il mondo, depurando l’aria, risanando l’esistenza di tutti gli esseri sanguigni.
Il ficus sanguinis è un predatore: succhia le ultime energie dalle carcasse che si fondono al terreno dopo la morte. Ovunque. È becchino e tomba.
Nei secoli, le sue radici, espandendosi in ogni direzione, legandosi ad altre radici, perforando le rocce, superando i mari e i deserti, hanno raggiunto ogni angolo del mondo e dei mondi, e adesso il ficus sente ogni cosa e tutte le morti che accadono sono per lui festa e nutrimento. Vive della fine altrui, assapora il sangue rancido e nero di corpi invisibili, ormai assediati da terre lontane, risucchiati da terreni distanti, e ne gode. Come qualsiasi altro predatore, la sua principale strategia è attendere, sapere riconoscere il momento giusto e poi attaccare disperatamente. E, seppure sembri che non si muova, che non abbia parte in alcun attacco e in alcuna caccia, è esso stesso, placido e costante, a mandare sorella morte, a richiamare la nera signora, a implorarla di agire per interposta passione, a pregarla di sfamarlo come una sedula madre.