Bestiarius immaterialis - Gombrolone
Ributtante, a distanza, è già il suo grugnire: un barbuglio che genera sgomento e disgusto: uno sconvolgimento dell’anima che penetra financo piante e s’insinua nella terra inaridita, prosciugata della sua stessa linfa. Non è solo la sua voce a spaventare di bruttezza ma, innanzitutto, la sua presenza penosa e desolante che colpisce tutti i sensi, uno a uno.
Il contatto iniziatico, con quella sua aura oscura e avvolgente, sconquassa il sesto senso e lo inibisce, lo mette in ginocchio, lo umilia pericolosamente fino a rispedirlo nel dedalo tortuoso di uno storpio inferno. L’intrusione sonora avviene simultaneamente a quella olfattiva, con un canto fetido, un puzzo stonato, un olezzo e una melodia di putrefazione. Infine, il gombrolone si mostra, timido e indifeso, agli sguardi ingenui. Si fidano gli occhi dei viandanti, di quell’ombra pelosa nell’oscurità, dalla quale fuoriesce il gombrolone, con movimenti scoordinati e innaturali, scattosi, malati. Lasciano entrare la luce – sconcertati da quella torbida presenza, fino a perdere lucidità – quegli occhi ancora limpidi, concedendo all’oscuro di disegnare la figura della bestia che, mano a mano, si definisce nelle iridi trapassando i neuroni e travolgendo i nervi, intaccando muscoli e fibre, per colpire nuovamente all’essenza e devastare il concetto stesso di Vita.
La sua bruttezza è cangiante: pelosa, glabra, rattrappita o liscia e turgida, deforme o perfettamente simmetrica. Le sue zampe hanno forme diverse, lunghezze differenti e niente del suo corpo materiale s’intona con il circostante, come l’attorno mai gli s’amalgama. Ogni dettaglio si trasforma in un rigurgito interiore che sbrana la coscienza altrui.
Per questo il gombrolone è solo. Accoglie la sua solitudine e la sua vocazione al brutto. Arranca nell’ombra, cosciente di essere il lampo che dilania il sublime, il tuono che strappa le pareti della perfezione, conscio, perché disgustato da se medesimo, in un’estasi eterna quanto la sua disgraziata permanenza nel Tempo.