Bestiarius immaterialis - Gallina-usignolo
Si dice che sia una gallina, ma il cieco la scambierebbe per un usignolo.
Il corpo goffo, dovrebbe toccarlo per sentire quelle ali di pollo ingombranti e inutilizzabili per l’eventualità del volare: potenzialità disattese. Il collo lungo a cono, dovrebbe tirarlo, il cieco, per sentire un grido di gallo. Solo la tortura la scuote, rianimando la sua vera natura – o la sua falsa natura, il suo destino imprescindibile di pollastra.
Normalmente, però, il suo canto è dissimile dal suo essere materiale, si fa irriconoscibile, di altre corde vocali e altre gole e becchi o bocche. Delicato e soave, in armonia con il vento.
Il suono che le fuoriesce dalla bocca è come il silenzio, meglio ancora, è la musica del silenzio.
Ammalia i passanti, di qualunque razza essi siano, rallenta i cuori e li porta a lei, per innalzarsi, ogni giorno, a usignolo ed elevare la sua condizione di volatile che non sa volare e che presumibilmente non saprebbe nemmeno cantare. E lei, la gallina, non sa volare e forse non sa nemmeno cantare, ma imita l’usignolo e si scopre unica: un’anomalia nella massa pennuta. Va in estasi cantando come un usignolo, quella che si dice sia una gallina.
Alla fine anche il cieco, palpeggiandola e manipolandola incurante, la scoprirà essere soltanto un’imitatrice ma, comunque, un’interprete eccezionale, seppure del suono di un’altra creatura. Una – trasmigrando da una gallina a la gallina-usignolo – che, tramite la somiglianza con il differente, trova il senso nel difforme.