"JOKER"

Ed eccoci al film evento del 2019, "Joker", l'oscar "meritato" di Joaquin Phoenix, il film che ha rimesso in discussione il cinecomix, sull'origine del celebre villain dei fumetti DC, una sorta di “origin story”, molto liberamente tratta dall’origine del fumetto, e che racconta la nascita, anzi la formazione di un tizio problematico a diventare, suo malgrado, il re del crimine di Gotham City, così da diventare l’acerrino nemico (e memesi) del cavaliere oscuro... Ma andiamo con ordine: su "Joker" è stato scritto, detto di tutto, tutti ne hanno parlato, forse anche a sproposito, ma su quale ragione? La platea si è divisa in due tifoserie, chi gridando al capolavoro, chi ad un film sopravvalutato e, in fin dei conti, mediocre. Ovviamente, sono due pensieri estremi, e tutte e due errati. Perchè “Joker” non è un capolavoro, ma resta, alla base dei fatti e del risultato, un grande film drammatico, una enorme tragedia dal sapore teatrale, geniale nell'idea di rileggere una storia per capirne l'anima del suo eroe, o, scusate, del suo antieroe, e tutto quello che ne deriva, il demone (fisico ma soprattutto spicologico, sociale) che porta al Male, e via discorrendo. Ma lo abbiamo, soprattutto capito questo “Joker”, nel senso, siamo veramente andati a fondo alla questione? Soprattutto, abbiamo compreso veramente lui, Arthur Fleck, chi c’è dietro a quel pagliaccio dai capelli verdastri, che si nasconde dietro ad una faccia dipinta, “colorata” di paure e dolore, e non di allegria, una maschera di vendetta e di odio, lui, il clown triste che però vuole portare "gioia nel mondo", un pagliaccio crudele, figlio a suo modo della tragedia greca, che si vendica di chi lo deride, per poi diventare, suo malgrado, il paladino di una rivolta armata contro la corrotta e disfatta Gotham City? "Joker" sta nell'enorme interpretazione di Phoenix, che per entrare dentro il ruolo è drasticamente dimagrito, ed ha caratterizzato il nostro reietto con una strana risata patologica. Ora elogiare l’interpretazione di Phoenix è quasi maniera, lo sappiamo che razza di attore è, ma andiamo oltre… Mi ha colpito la risata del “Joker”, che qui diventa la risposta ad un malessere: quando ride si spezza qualcosa, perchè Arthur è un uomo fallito nei suoi ideali, un comico che non fa ridere nessuno, sbeffeggiato ed umiliato quotidianamente, che gira per le strade sporche e degradate di Gotham come uno zombi: un reietto invisibile, che, negli anni, si è caricato di dolore e rabbia, ma lui vuole portare solo "gioia nel mondo" fino a quando la tanto agognata gioia si trasformerà in un misto di odio e rabbia pronta ad esplodere, e quel trucco che utilizza per avere "una faccia felice" diventerà la sua nuova pelle, come una sorta di pittura di guerra...

Phoenix ha scavato a fondo, fino al midollo, e la scrittura del film di Todd Phillips cerca una rilettura strana, viscerale del personaggio, ispirandosi in parte al fumetto, scritto da Alan Moore e disegnato da Brian Bolland, "The Killing Joke", del 1988. Un Joker che, a differenza dei suoi predecessori, è senza alcuna ironia, senza via di scampo, un signore che si vendica dei soprusi subiti. Per reazione ai colpi violenti che ha ricevuto dalla vita, a tutte le peggiori batoste, si trasformerà per causa ed effetto nel celebre "cattivo" che tutti conosciamo. Certo, i riferimenti si sentono, "Taxi driver" e dietro l'angolo, così come a “Re per una notte”, sempre di Scorsese, ma il buon Philipps sa giocare bene le sue carte, perchè sa dove mettere le mani, così ha realizzato un ottimo film, ricco di una colonna sonora struggente, una fotografia che descrive bene la discesa nell'inferno di Arthur. Poi c'è lui, ovviamente, Phoenix, che regge il film tutto sulle sue smagrite spalle, comparendo in quasi tutte le inquadrature, anzi spesso è solo in scena, come se fosse soltanto un fantasma, un'astrazione fisica, ma soprattutto sociale: e se tutto fosse solo frutto delle sue allucinazioni? Allora il film racconterebbe soltanto di un fottuto sogno, dentro la testa distorta e paranoide di Arthur, ed il finale sembra quasi suggerirlo. Sembra, perchè il regista non da risposte, ma crea altre domande, e questo mescola ancora più i livelli di lettura. A qualcuno non potrebbe piacere, come ai “puristi” e amanti del fumetto, molti hanno storto il naso, ma me un film del genere intriga proprio per questo, perchè mi piace non sapere mai del tutto, ma sapendo, sotto sotto, che tutto si compirà. E quel finale, lirico e tragico allo stesso tempo, ci riporta la fuga di Arthur dal manicomio di Arkham, per diventare , in un futuro non troppo lontano, l'acerrimo rivale (e memesi) di un milionario vestito da pipistrello!!!

Poi, per risposta a tutte le esternazioni che leggo su internet, a tutti i leoni da tastiera, e non solo, rispondo a coloro che vogliono dibattere se il “Joker” di Todd Phillips non sia il vero joker. Un tradimento, annunciato, voluto, predestinato, perchè questo pagliaccio malefico si distacca da quello dei fumetti, ed è diverso anche nell'estetica (etica e soprattutto di comportamento), ma anche perchè, come scritto, potrebbe essere tutta una proiezione mentale di un povero alienato, ed è troppo vecchio per un futuro scontro con il Cavaliere Oscuro, quindi, secondo fonti “cospirative” Arthur potrebbe essere colui che ispirerà il vero Joker... Rispondo a tutte queste domande dicendo che la forza del cinema sta proprio in questo, questo lavorare dal di dentro, nella domanda, all'interno di un personaggio così forte, iconico. Visto che il Joker, già sulla carta stampata, è stato interpretato, sulla propria origine si è fantasticato, costruendo versioni, leggende, ecco, allora di che diavolo si sta blaterando sul pulpito virtuale! Quindi, è tutto vero oppure falso? E' il “joker”, oppure no? Ai posteri l’ardua sentenza, visto che ci troviamo davanti ad un “cinecomix d'autore”, quindi distaccandosi da certi clichè, il regista ha voluto rileggere la fenomenologia di un personaggio per comprendere cosa abbia spinto un’uomo a diventare un vendicatore, quindi di spostare l’obbiettivo nell’umana disumanizzazione di questo tizio, da incompresa ed invisibile, a diventare, dopo traumi, offese, botte, una sorta di spauracchio, un simbolo (anche se lui nega l’essere l’ideale capo della rivolta dei clown di Gotham), perchè dietro a quel costume si nasconde un malessere sociale, non solo dell’individuo singolo ( anche il regista Tim Burton, nello stupendo “Batman returns” del 1991, con quel suggestivo taglio dark/felliniano, si era impegnato nel rimodellare la figura e l'origine del “Pinguino”, quindi decostruendo il ruolo del cattivo sotto una luce diversa, descrivendolo come un “freak” abbandonato da piccolo per la sua ingombrante deformità fisica, e per una predisposta violenza comportamentale...). Perchè, se lo leggiamo con attenzione, il nostro Arthur altro non è che un specchio collettivo, è sì il clown che ha messo sotto scacco Gotham, ma, in fondo, il “Joker” sono tutti coloro che si “nascondono” la faccia con le proprie paure, rabbia, con la disillusione, quindi, si, il “Joke potremmo essere tutti noi. Io, tu, oppure nessuno di noi. In fondo, letteralmente parlando, il nostro triste pagliaccio è uno, nessuno e centomila..

il “Joker” di Joaquin Phoenix

Il “Jolly” di Cesar Romero

ps – Mi tocca aprire una riflessione “randagia”, una delle mie: fin dalle prime immagine viste in rete, mi ha incuriosito il look di questo nuovo “joker”, diverso dalle versioni cinematografiche precedenti, ma vicina, se vogliamo, allo scanzonato “Jolly” interpretato da Cesar Romero (entrato nella leggenda per quei baffetti che si intravedono sempre sotto il pesante cerone, visto che si rifiutò di tagliarseli, vezzo di cui non poteva farne a meno…), della serie di “Batman”, quella degli anni sessanta (con tanto di film omonino, del 1966). Ecco, osservandoli bene, confrontando il primo Joker cinematografico (e televisiviso); fino all’ultima rilettura, ci sono alcune cose che li legano, l’estetica, il trucco, l’abito, alcuni particolari. Me lo ricorda per reazione, perchè spesso gli opposti si attraggono, forse anche per “contrasto”, poichè tra i due c’è una differenza radicale, radicata. Dietro a Phoenix, come scritto, c’è il dramma dell’incomprensione sociale, la rabbia di un reietto instabile, e di come la società possa trasformarci in dei “mostri”, mentre in quello di Romero c’è lo sberleffo, la barzelletta forzata, l’irriducile voglia di fare il buffone. Due facce della stessa medaglia?


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Raffaello Becucci