"THE LOBSTER"
Avete mai pensato a quale animale vorreste essere trasformato, se le cose non funzionassero? David non ha dubbi, vorrebbe diventare un aragosta. Perchè mai un’aragosta? La domanda è senz’altro strana, la risposta ancora più incerta e traballante... Così, "The Lobster" (letteralmente “l'aragosta”), titolo di uno dei film rivelazione del 2015, diretto da Yorgos Lanthimos, regista greco, qui alla sua prima opera in lingua inglese. E' una storia paradossale, un sottilissimo, crudele film di fantascienza dispotica. Ma non solo, ed è qui il gioco di incastro, tra dentro e fuori il genere, nelle sue “implicazioni”: siamo lontani dai futuristici viaggi interstellari, di astronavi ed alieni pronti a scatenare guerre galattiche, non ci sono pianeti da colonizzare… Qui il mondo non è nuovo, nè moderno, è vecchio e puzza come sempre. Ci troviamo in un futuro che sembra (in tutto e per tutto) il “nostro” presente, quindi potrebbe essere oggi, domani, fra centinaia di anni, tutto questo è irrilevante. In una realtà del domani, diciamo, dove non prevale niente di tecnologicamente all'avanguardia, è nata la nuova caccia alle streghe: segendo una sorta di nuova relgione politica e sociale, sono messo al bando sociale i “single”, i quali vengono gentilmente "deportati" in un hotel sul mare, seguendo un preciso progetto governativo: dentro questo albergo devono “per forza” trovare la loro anima gemella, entro il tempo prestabilito, di una quarantina di giorni, altrimenti gli ospiti rimasti ancora soli verranno trasformati in degli animali (?), scelti da loro stessi con tanto di contratto firmato. Trasformati in animali? qual'è il senso di questa follia? Soprattutto, perchè? Cosa c’è dietro a tutto questo...
Le motivazioni si perdono in metafore e letture socio/antropologiche, anche perchè dietro a questo orrore zoomorfico, oltre le mura dell'albergo/lager, si nascondono, negli impervi boschi che circondano la struttura, i "fuggiaschi", ribelli scappati dalle grinfie di questa dittatura sociale, che non si vogliono piegare alle regole assurde di una convivenza forzata, scontrandosì così con una realtà che riconosce la loro libertà di individui. Il protagonista della vicenda è, come già scritto, David (che ha la faccia, con tanto di baffi ed occhiali, ed il corpo "imbolsito" di un bravissimo Colin Farrell), mite e remissivo architetto, single come tanti (la moglie lo ha lasciato per un altro dopo ben 12 anni), che arriva all'albergo, malgrado i suoi timori e una rassegnazione da "fine del mondo", con tanto di cane al guinzaglio (che scopriremo essere suo fratello, vittima di questa legge dispotica). Il film resta una rivelazione: sarò eccessivo, ma è uno di quelli che davvero lasciano il segno. Mi ha fatto pensare, inquietandomi, creato tante domande, ho cercato risposte. Anche se affonda in un ermetismo autoriale certamente non facile, quindi la visione può apparire ai meno predisposti complessa, resta un’interessantissimo apologo sulla (nostra) societa per imposizione, messa in opera da un regista con stile e capacità nel sapersi confrontare su tematiche scottanti, quella delle "regole" di una comunità umana che teme il singolo come progetto libero ed indipendente. Quindi, eccoci all'idea folle, radicale, nichilista tanto disperata, nel voler rincodurre tutti a completarsi, per una sorta di costruzione simmetrica della civiltà umana. C’era anche un famoso slogan pubblicitario: “prendi due e paghi uno”, si direbbe (l’uomo è un prodotto di consumo, o da consumare?), così, per dare ordine (l’idea della coppia come concetto di famiglia, di nucleo perfetto, di cellula architettonica della nostra società)…
Lo sguardo di David/Farrell è, perciò, emblematico in tutto questo: recitando con composta rassegnazione, quasi sconfitto emozionalmente, stordito da un mondo che lo vuole dentro un preciso disegno, ed osserva, dietro i suoi occhiali, tutto e tutti come fossero anch'essi delle astrazioni di una realtà ormai devastata... Difatti, la fuga contro questa tirannia, lo porterà a rintanarsi nella foresta, per unirsi così ai "ribelli", rendendosi poi conto che anche i portatori della tanto agognata “libertà”, sono soggetti a regole dispotiche, forse ancora peggiori di quelle perpetuate nell'albergo... Ma la passione e l’amore per una di loro (Rachel Weisz, anche lei sul pezzo e davvero brava), ribalterà le regole del gioco, così che David diventerà, malgrado tutto, un ribelle dei ribellanti, solo per seguire l'amore non imposto, ma nato dal caso, anzi, dal caos... Insomma "The Lobster" è un film radicale, radicato dentro una personale idea di fare cinema, capace di aprire un dibattito sull’esegesi dell’uomo dentro l’idea socio/antropologica dell’uomo stesso, dove spicca una bella fotografia, ricercatissima nel seguire disegni geometrici debitori di molto cinema Kubrickiano. Ma il tutto, non so, mi richiama un certo cinema grottesco, satirico, come era quello del nostro Marco Ferreri. Perchè, sotto sotto, “The Lobster” è un film "alla Ferreri", è come i film di Ferreri ci insegnano, nell’opera di Lanthimos c’è una sacrosanta critica, caustica e severa, verso la collettività sempre più straniante, il tutto, però, condito da tocchi di humor nero dove fa prevalere, nel film in questione, un senso apocalittico, ma anche farsesco, estremo, a tratti orrorifico... Perchè tutto in “The Lobster” è estremizzato: l'amore, la vita, la morte, il sesso, ed anche i dialoghi, e gli sguardi fra questi disperati: l'idea delle "trasformazioni zoologiche", geniale, anche perchè mai svelate nè spiegate scientificamente, solo suggerite (e per questo ancora più feroci ed inquietanti), anche se questi animali ex umani compaiono dando consegnando il film ancora più nel delrio surreale, nelle presenze di pavoni, conigli, cammelli, pony... Uno zoo suurealista, che potrebbe benissimo essere partorito da Luis Brunuel, in cui al centro c'è piano utopico, talmente “oscuro” che non può altro che terrorizzarci: siamo di fronte ad un cinema capace di stordirci, di gettare nel baratro le nostre certezze, creando e giocando su tempi ed attese (lentezza delle azioni, dilatazione degli spazi d'ambiente), colmo di ermetismi e di “messaggi”, anche se mai fini a se stessi. Simbolismi “umanistici”, quindi, ed allegorie derivate, dove al centro c’è la sacrosanta paura del futuro che è qui, dietro l'angolo, ma soprattutto la paura che abbiamo di noi stessi, appunto dell’uomo solo e solitario, e del mondo che ci circonda, che ci vuole omologare, e che il regista racconta in una storia senza un finale (difatti l'azione si blocca in un momento basilare della narrazione, lasciandoci solo immaginare una possibile conclusione..), fatta di uomini e donne sull'orlo di una crisi socio/esistenziale. Che poi è la crisi di un goffo e stralunato architetto che vuole essere, malgrado tutto, soltanto un’aragosta...
Le immagini utilizzate in questo articolo sono in parte proprietà dell'autore, in parte tratte da altre fonti. Nei casi in cui non è stato possibile citare la fonte, si tratta di immagini largamente diffuse su internet, ritenute di pubblico dominio. Su tali immagini il sito non detiene, quindi, alcun diritto d’autore. Chi detenga il copyright di qualsiasi immagine o contenuto presente su questo sito o volete segnalare altri problemi riguardanti i diritti d’autore, può inviare una e-mail all’indirizzo redazione@stanza251.com richiedendo la rimozione dell'immagine, verrà effettuata immediatamente.