Meta fisica
Ned sventolò un volantino sotto il naso di Joe e disse, “Io ci vado.” Era un invito a una festa per: Grosse donne e i loro ammiratori. Ned era la persona più buffa che Joe avesse mai conosciuto, ma non stava scherzando.
L’ultima volta che Ned aveva sbattuto un volantino in faccia a Joe, aveva detto, “Noi ci andiamo.” Non aveva scelta. Andarono a Studio 69, un bar-spogliarello, per vedere Large Lotta Sparkle, una comica nera di oltre duecento chili. Era alta, sballonzolava, e faceva morire dal ridere. Tirò Ned, che era smilzo, sul palcoscenico e lo soffocò tra poppe e le natiche. “Ora ti siedo addosso e inspiro forte,” gli disse. “Scomparirai. Wùscccc!”
Ned andò in visibilio. Non chiedeva di meglio.
Joe aveva gusti più convenzionali: bazzicava riunioni di Alcolisti anonimi e imbroccava donne incasinate vogliose d’amore. Lui gliene dava, a volte per una notte intera. Volevano parlare, essere coccolate e rassicurate. Volevano qualcuno a cui aggrapparsi per sentirsi meno alla deriva nel mare notturno pieno di correnti e squali. Joe non era uno squalo. Non voleva fare male a nessuno. Ma nemmeno voleva coinvolgersi con ubriache bisognose. La città pullulava di riunioni AA, che a loro volta sciamavano di donne che si sentivano sole. Joe passava da una sede all’altra. Nessuno chiedeva mai nulla, all’ingresso. Nessuno notava che dava un diverso nome finto quando si alzava per dichiarare di essere alcolista come loro.
Joe beveva forte, ma non si considerava un alcolista. Un medico gli avrebbe detto diversamente, quindi evitava i medici.
Ned aveva provato l’imbrocco facile dagli Anonimi, ma lo trovò deprimente. “Non mi viene duro per tipe che puzzano di alcol, sbornie e suicidio a fuoco lento.”
Una volta Ned aveva trascinato Joe in un locale per scambisti. Erano soprattutto anziani. Forse era per via della birra, ma una nonna con la parrucca bionda e il reggiseno strabordante lo eccitò. La signora notò che Joe la guardava, e con grande franchezza che gli disse che era disponibile e pronta a tutto. Joe inventò un pretesto.
La festa delle donnone era in una grezza discoteca russa. Persino le insegne dei cessi erano in cirillico. Per dare via alle danze, le grassone fecero una sfilata in abbigliamento intimo. Acconciature pazzesche, trucco da prostitute e mutandine sexy XXXL in parata sotto un’illuminazione stile ex-sovietico: blu e viola su capelli neri, seta nera, pizzo nero, pelle nera. Tettone, fiancone, pancione, culoni e cosce da gigantessa vibrarono al ritmo di una contundente musica da ballo. Quando finì la sfilata, incominciò l’imbrocco. Non valevano pretesti. Le grosse donne avrebbero malmenato chiunque fosse venuto per beffeggiarle.
Una nera imparruccata ordinò a Joe di comprarle da bere. Non si era tolta l’intimo sexy della sfilata. Odorava di sudore. Tracannò il primo cocktail del dopo-show e rese chiaro che Joe poteva offrirgliene un altro. Non stava battendo, né era lì per far spendere i fessi. Cercava amore, compagnia, ammirazione. Joe spese la paga di un giorno offrendo da bere a Claudine.
Ma quelle bevute care e annacquate gli fruttarono brividi mai provate, nell’appartamento di Claudine.
Non si scambiarono numeri di telefono la mattina dopo. Claudine aveva numerosi ammiratori usa-e-getta, e non li stimava. Joe voleva dirle che non era interessato a lei solo perché era tre volte lui e nera, ma non sapeva come esprimere i sentimenti che provava. Claudine non offrì nemmeno di fargli un caffè prima che sloggiasse.
Lasciare il mondo di Claudine per tornare al lavoro gli sembrò sbagliato.
Joe e Ned lavoravano a un giornale. Era noioso, a parte la paga. Il sindacato rendeva difficile essere licenziati, quindi i soldi non erano un problema.
Il problema era che Joe non riusciva a smettere di pensare a Claudine. Aveva grassone per la testa, come quel pazzo Ned. Le Alcoliste anonime erano scheletriche, smunte, invasate. Era strano: l’alcol è pieno di calorie.
Joe si rese conto che l’ambiente ex-etilico era oramai sbagliato per lui. Ciò che cercava non si trovava da AA. Voleva conoscere le frequentatrici di un’associazione dall’acronimo diverso, ma era impossibile intrufolarsi nelle riunioni di Weight Watchers sotto mentite spoglie. È facile fingersi ubriaconi: basta mantenere sul grugno un’espressione di disperazione a lunga durata. Ti alzi, dici un nome inventato sul momento e racconti alle sconvolte che sei alcolista, come loro.
Tornando a casa dal lavoro, Joe camminava lungo una piattaforma della metropolitana e si scostò per far passare un ciccione vestito d’impermeabile che gli limitava i movimenti. Il ciccione infreddolito era Joe, riflesso nello specchio affisso a una colonna che permetteva al giornalaio rinchiuso nella claustrofobica edicola di vedere cosa succedeva fuori. Joe ne fu scosso. Il tipo secco che era sempre stato era scomparso, letteralmente divorato da un ciccione che era lui.
Joe issò la maglietta davanti allo specchio in bagno, con la luce accesa. Vide una panciona esuberante, tette pelose. Era tutta colpa della birra, che stringeva Joe nella sua gelida presa. Diversamente da Claudine, la grassona della discoteca russa, la birra non l’avrebbe mollato facilmente.
Non voleva andare dagli Anonimi. Non voleva smettere di bere, voleva tornare smilzo. Le grasse sono attratte da uomini secchi, come Ned. Large Lotta Sparkle, l’enorme comica spogliarellista, non stava scherzando: voleva sentire Ned dentro di lei.
Le alcoliste anonime volevano smettere di essere ubriache, bisognose e disperate. Volevano che Joe, o qualche altro uomo, venisse a vivere con loro, stare al loro fianco; volevano qualcuno da amare e accudire, che le desse forza. Però accettavano notti di alcol e sesso sfrenato. Il pancione di Joe non le dava noia; avevano problemi con l’alcol. Joe non aveva problemi con la birra, a parte che non riusciva a smettere di berla. Non stava più nei pantaloni.
La sede di Weight Watchers nel suo quartiere era colma di grosse donne e alcuni grossi uomini, seduti su sedie pieghevoli sotto luci al neon. Guardati, diceva la luce. Datti una bella occhiata. Le altre persone ti vedono così. Sei grasso. Sei obeso. Sei ripugnante e indesiderabile. Joe guardò le donne soprappeso. Non provò attrazione per nessuna di loro. Alle riunioni AA, capiva al volo con chi voleva provarci. Le grassone che volevano non essere tanto grosse lo guardavano indifferenti. Aspettavano l’inizio della riunione, come lui.
Prima di potersi iscrivere a Weight Watchers, Joe era dovuto montare su una bilancia. L’uomo che annotò il suo peso iniziale non era medico, era un ex-ciccione. Per partecipare, disse, bisognava essere soprappeso di almeno cinque chili. A Joe sembravano pochi. A differenza di AA, WW non era gratis. Dovevi pagare, e farti pesare finché non raggiungevi la meta, cioè il tuo peso ideale. Dagli anonimi si chiacchierava senza bere alcol, solo caffè, ma la parte di non bere fuori dalle riunioni dipendeva da te. A WW, ti controllavano. Se mangiavi troppo, la bilancia lo diceva. Barare era ammesso, quindi, ma anche impossibile.
Le storie che raccontavano gli alcolisti anonimi erano migliori di quelle degli obesi. Le disastrose avventure degli ubriaconi sono per forza più interessanti delle vicende di persone immobilizzate dalla propria mole. Gli ubriaconi vivevano sesso, droga, violenza, ospedali, puttane, disoccupazione, terapia di famiglia, divorzio, depressione e cure psichiatriche. La vita dei grassi era cibo, fame, tristezza, solitudine, vergogna. Le loro storie erano di perdita del controllo, inibizioni e umiliazioni. È brutto quando i commessi nei negozio d’abbigliamento per taglie forti diventano i tuoi unici amici. La gente ti guarda, nei ristoranti e mentre fai la coda al supermercato. Vedono quanto mangi, quanto cibo devi comprare. Sussurrano. Non capiscono che non riesci a smettere.
Joe si rese conto che i magri non stanno per niente simpatici ai grassi. Anzi, li odiano. Gli ubriaconi di Aa non odiavano i sobri. Volevano essere sobri anche loro, malgrado sapessero che la vita astemia è noiosa. Per i grassi, essere di normali dimensioni doveva sembrare un paradiso impossibile.
Le madri obese credevano che i propri figli si vergognassero di loro. Temevano che i loro bambini sarebbero ingrassati. Chi aveva figli già grassi si preoccupava per l’imbarazzo e il trauma che avrebbero provato andando alle riunioni di WW. A volte erano presenti ragazzi grassi: sembravano non volerci essere.
Joe cercava di non pensare al fare sesso con grassone nude quando c’erano giovani obesi, ma stava già puntando una del suo gruppo.
Diceva di chiamarsi Mona, ma era possibile che gli obesi si inventavano nomi per le riunioni. Era alta e bionda, dal sorriso timido.
Le anonime sembravano uomini sfiniti conciati da donna.
Mona era ingrassata durante la prima gravidanza. Fu estasiata quando scoprì di essere incinta, allarmata per quanto peso prendeva, poi fuori di testa quando si accorse che la pancia non era la più grossa delle sue sporgenze. Non sembrava nemmeno incinta, solo grassa. Gli uomini non la guardavano ammirati e protettivi. Le donne non la guardavano invidiose o solidali. Tutti la guardavano nel modo che la gente di WW conosce così bene. Il medico le disse che il peso in più era normale, anzi, un buon segno, e di non preoccuparsi. Ma gli sguardi la ferivano.
Mona partorì. Il travaglio fu lungo, doloroso. Appena poté camminare, si iscrisse in palestra, ma non aveva tempo per andarci. Suo marito faceva gli straordinari: avevano bisogno di sempre più soldi. Mona faceva esercizi sul tappeto davanti al letto, nei pochi momenti in cui la bambina smetteva di strillare. Mona non poteva smettere di mangiare perché doveva allattarla. Le poppe enormi non producevano tanto latte. La bambina affamata succhiava così forte da farle male. Piangeva di continuo, non dormiva, non prendeva peso come avrebbe dovuto, secondo le tabelle mediche di crescita normale. Mona invece continuò a gonfiare. Le stavano solo gli accappatoi; prima il suo, poi quello di suo marito. Lui faceva del suo meglio per aiutarla, quando era in casa. Le massaggiava la schiena e le gambe; cercava di calmare la bambina. Mona sentiva di essergli ripugnante e aliena. Partiva sempre più presto per il lavoro, stava sempre più tardi in ufficio. Mona si convinse che lui la tradiva con le colleghe. Non la toccava più, non in quel modo, anche se lei aveva una voglia inverosimile. L’istinto sessuale era grande quanto lei, e non trovava sfogo. Non voleva nemmeno toccarsi da sola.
Il medico era in pensiero per la bambina, non per lei. Qualcosa non andava con gli enzimi, forse si trattava di un’ipertrofia ghiandolare. Pensava che il problema era dovuto al latte che produceva Mona. La tempestò di domande invadenti sulla dieta, se di nascosto mangiasse delle quantità anormali di cibi sbagliati. Le volse Lo Sguardo. Prese campioni del suo latte con un apposito macchinario, come se non volesse toccarla. La guardò mentre si mungeva le poppe. Non si fidava di lei: avrebbe contaminato il prelievo.
Il robot mungitore le provocò un involontario orgasmo. Il medico fece finta di nulla.
La primogenita di Mona morì di fame, strillando dal dolore. Mona era contenta del silenzio. Si spiegò, si giustificò. Nessuno diceva nulla, ma gli sguardi significavano: hai mangiato tu il cibo della bambina, il tuo appetito smisurato l’ha uccisa. Non importava che i medici all’ospedale non erano riusciti a capire il problema in tempo per salvarla. Dissero a Mona di farsi rimettere incinta, sperare in una migliore fortuna e cercare di dimenticare ciò che era successo.
Suo marito fece il suo dovere. Bevve qualche superalcolico, spense le luci e rimise incinta la moglie. Poi disse di avere bisogno d’aria fresca e uscì di casa. Al suo ritorno, Mona dormiva. Quando si risvegliò, lui era già al lavoro. Ma era incinta. Ormai conosceva la sensazione.
Col prossimo bambino andò tutto bene. Mona ingrassò ancora, ma a quel punto non importava. Due anni dopo le nacque un’altra bambina. I figli erano di grandezza normale, sani, felici. Non le volgevano Lo Sguardo, o non ancora. A loro sembrava normale avere la mamma enorme. Ma avrebbero imparato. Mona viveva nel terrore del giorno in cui i figli l’avrebbero guardata nel modo che detestava.
Era vero che il marito la tradiva. Non con una collega, ma con una sconosciuta incontrata in un bar la notte che era uscito dopo averla messa incinta la seconda volta. Aveva preso a bere forte quando Mona ingrassò durante la prima gravidanza. Lei non si accorgeva delle sbronze del marito perché aveva altro a cui pensare. Lui beveva perché sua moglie era diventata un pupazzo di neve scolpita nel lardo e la loro scheletrico poppante non smetteva di urlare.
Mona scoprì l’infedeltà del marito quando una sera non rientrò. Sarebbe tornato a casa, ma era troppo ubriaco per guidare. Poteva passare l’assenza non giustificata, ma aveva la camicia macchiata di sangue mestruale. Non poteva presentarsi al lavoro conciato così. Non poteva rischiare il licenziamento. Guardò Mona e disse, “Ho bisogno di sesso, Mona. Sono solo un essere umano. Ci sono cose di cui non posso fare senza.” Intendeva che voleva scopare con una donna che aveva l’aspetto di una donna, non di un ippopotamo a due zampe. Per lui, Mona non era nemmeno più una donna. Ma lei non gli disse di sparire, e lui non sparì. Lei lo capiva. Lui si fece la doccia. Lei gli preparò il caffè e un pranzo nel sacchetto.
Al lavoro se la cavò con poco: fu ammonito per il ritardo e gli furono detratti tre ore di stipendio.
Anche Mona era un essere umano. C’erano cose di cui aveva bisogno, disse, e si sedette.
Joe era incredulo. Mona gli sembrò forte, triste e bella. Voleva darle una di quelle cose di cui aveva dichiaratamente bisogno, ma solo per qualche ora. Era sposata, dopotutto, con figli.
Toccò a Deborah di raccontare la sua ossessione per torte e pasticcini. Aveva fatto un corso presso una scuola professionale di cucina. I suoi dolci non avevano il sapore giusto. Questo problema si aggravò quando cominciò a farli bene. Finito il corso, venne assunta da vari ristoranti e pasticcerie. Fu licenziata ripetutamente perché divorava i profitti.
Deborah era ancora più grossa di Mona. Non altrettanto bella, pensò Joe. Però gliel’avrebbe dato anche a lei.
Lavonne era grossa quanto Deborah, bella quanto Mona, e nera quanto Claudine della festa per grosse donne. Joe, da sveglio, fu travolto da un sogno erotico con Lavonne, mentre lei raccontava. Grassa dall’infanzia, non beneficiava da diete o esercizi. Diventava forte, ma non dimagriva di un etto. Aveva un cassetto pieno di medaglie d’oro per sollevamento di pesi, ma niente mutandine sexy.
A Mona mancavano quaranta chili dalla meta. A Deborah quasi sessanta. Per Lavonne, la meta era a oltre cento chili. Ma loro si stavano avvicinando. Joe era sovrappeso di oltre venticinque chili. Mangiava come gli dicevano i consulenti WW, ma continuava a bere birra. Negava, però beveva. E ingrassava. Arrivava alle riunioni ubriaco e sempre più grasso. Non poteva negare di essere meno grasso, perché lo pesavano. Si comprò una cintura più lunga, scarpe più larghe. Accusò il consulente nero di avere manomesso la bilancia. L’uomo non si scompose. Quella battuta la fanno tutti, disse, ma la bilancia non mente.
Mona non guardava Joe, a parte quando lui si alzò in piedi per raccontare la sua odissea di obesità. Era il bambino cicciottello sfottuto e maltrattato da tutti. L’esercito lo rifiutò perché non stava nelle divise standardizzate. Spiegò che il suo metabolismo non smaltiva grassi, zuccheri o carboidrati perché i suoi antenati erano indiani delle praterie. Tutte balle.
Nessuna delle Weight Watchers guardava Joe come l’avevano guardato le Alcoliste Anonime. Le alcoliste lo guardavano fameliche, malgrado fosse grasso, o forse perché era grasso. Una di loro gli disse, “Sul materasso sono trascinata verso di te dalla gravità.” Joe ne era felice fino alla mattina dopo, quando dovette rimettersi ansimante i pantaloni.
Al giornale lo prendevano per il culo. Quando cessavano le battute, i colleghi gli volgevano Lo Sguardo.
Quel pazzo di Ned beveva quanto Joe, forse di più. Mangiava solo carne di maiale e caramelle, ma restava magro come un cowboy. Non vi era giustizia, pensò Joe. Il corpo umano è un fottuto casinò, ma non puoi vincere nemmeno standone alla larga. Odiava il vecchio amico Ned, specialmente quando quest’ultimo gli palpava le tette. Joe rideva, ma voleva smontarlo, staccargli la testa, pestarlo con gli scarponi da ciccione.
Ned non si rese mai conto di rischiare una brutta fine.
A WW c’era un giovane ancora più grasso di Joe. Non parlava, ma non perdeva nemmeno una riunione. Stava calando di peso.
Un giorno questo ragazzo si alzò, e trasse da un sacchetto di plastica i calzoncini da surfista più enormi mai fabbricati sulla terra. Disse di averli comprati quella mattina. Non era mai stato alla spiaggia. Si vergognava troppo. Gli mancavano meno di quindici chili alla meta. Questa estate sarebbe andato al mare, disse. Come fanno tutti. Come aveva sempre voluto fare anche lui.
Le donnone applaudirono, avevano le lacrime agli occhi. Sciamarono attorno al giovane, l’avrebbero mangiato vivo. Vai vai vai, dissero.
Joe stava vedendo il paradiso, e lui non c’entrava nulla.
Uscì dalla riunione WW. Non voleva stringere la mano del ragazzo dimagrito. Non poteva incoraggiarlo.
Non andò a un bar, anche se ne aveva voglia. Camminò verso Sheepshead Bay, dove c’era la discoteca russa delle Grosse Donne e i loro ammiratori. Continuò oltre, fino a Coney Island. Si sedette sulla sabbia umida e ghiacciata. La luna uscì da dietro nuvole argentate, lanciando scintille sulle onde incapaci di immobilità.