La vasca
Esistono lavori peggiori che consegnare alcol a domicilio. Diversi clienti della bottiglieria di Beverly Hills erano stelle del cinema, e una volta portai casse di champagne a Villa Playboy.
A dare ordini nel magazzino era un simpatico gay di quelli che amano il cuoio nero. Era baffuto, ironico, e gli piaceva farsi pisciare addosso. “Uh!” diceva, “oggi ti mando a trovare Lana Turner!” Come se ciò fosse un fantastico privilegio. Lana Turner aveva ordinato tanto ottimo gin. Era una settantenne ancora seducente. Anziché darmi la mancia, mi guardò + negli occhi e batté le famose ciglia. Sarei diventato il suo schiavo. Non per nulla le stelle sono stelle.
Conobbi così anche Cyd Charisse, Fred Astaire, Barbara Stanwyck e Barbara Eden. Quest’ultima aprì la porta agghindata come la fatina che aveva interpretato in tivù. Dietro il velo colore del cielo non si notavano le rughe, le occhiaie, la dentiera. Beveva whisky e vino bianco fruttato.
Da quel lavoro imparai solo che le vecchie glorie del mondo dello spettacolo non danno la mancia.
Un giorno il capo mi disse, “Uh! Oggi ti mando alla reggia di Giggles Gowanus.”
Mai sentita. “Uh. Ganzo.”
“Vedrai. Ho sentito dire che è generosa con le mance.”
Ci toccava caricare le casse da consegnare. Era un lavoro di fatica, ma al posto di bei muscoloni ci venivano dolori alla schiena. La Gowanus beveva esclusivamente veleno per barboni, e abitava nella brutta, vecchia Hollywood. Non era facile parcheggiare in quel quartieraccio, e se prendevamo multe, le pagavamo noi.
Non mi aspettavo nulla di buono, ma quella catapecchia era peggio. Il carrello pesava, faceva un gran caldo. Suonai.
“Avanti, è aperto!”
Nessuno lascia le porte aperte, a Hollywood.
Entrai. C’era tanfo di gatto, sudore, vestiti sporchi e piscio. Il carrello passava male sulla moquette colore del fango. “Permesso? Sono qui con tanta buona roba da bere.”
“Sia lodato il cielo. Vieni, vieni.”
Una vecchia obesa dai capelli corvini stava accovacciata su un sofà distrutto. La vestaglia lisa la copriva appena.
“Dove lo metto, tutto questo nettare?” Volevo aiutarla. Volevo la mancia.
“Grazie, sei carino,” disse. “Vai pure in cucina. Poi quando hai finito avrei un’altro favore da chiederti.”
“Certo. Nessun problema.”
La cucina era peggio del salotto. Sistemai le bottiglie di vino bianco nel lercio frigo. Riempii uno scaffale con bottiglione di vino rosso fatto coi vermi.
Tornai nel salotto con le casse dei superalcolici. Mi aspettavo di trovarmela davanti nuda. Cosa non si fa, per una mancia. Invece, “Scusa, ma non cammino bene, e non sono forte come una volta. Se non ti dispiace... ”
Indicò un bacino di plastica sulla moquette accanto al sofà. Non l’avevo notato, entrando.
Era un acquario. Pesci marroni fluttuavano in un piccolo mare giallo.
Alzai la vaschetta stando attento a non sbrodolare, la portai nel cesso e la svuotai nella vasca da bagno. Il tombino era intasato. Tornai in cucina e presi un mestolo. Non c’era sapone per lavarsi le mani.
“Grazie tesoro,” disse. “Vieni, ti voglio dare qualcosina.”
Mi avvicinai al sofà. ‘Che non sia un bacino,’ pensai.
Mi porse un dollaro. “Grazie,” dissi. “Non è necessario, ma lo apprezzo. Serve altro?”
“Vuoi vedere una cosa?”
Ero titubante. Avevo già visto abbastanza. “Certo,” risposi.
Indicò una cornice d’argento sulla credenza accanto alla porta. Era lei nella foto, nuda sotto una fluttuante toga, in una posa da danzatrice. Un fisico a clessidra. Fischiai.
“Ero bella, vero?”
“Cazzo.”
“Ma non solo. Ero anche brava a raccontare barzellette. Sapevo far ridere, sul serio. Vuoi sentirne una?”
“Spara.” E risi davvero. Era buffa.
“Ma mi davano solo ruoli da comparsa, non mi facevano mai parlare o ballare. Ed eccomi qua.”
“Eccoci qua. Allora ciao, devo tornare al lavoro.”
“Ciao, sei bello, giovane e forte.” Rise gorgogliando mentre uscivo. Chiusi bene la porta ma la sentivo sempre.
Matthew Licht