Anatomia di una spiaggia maremmana
La maremma. Provincia tra le più grandi del bel paese. Perla del litorale tirrenico assieme alla Liguria e poi giù fino alla Campania. Tradizionale sede delle vacanze. D'estate. Comune denominatore della ciclica vita dell'italiota medio, medio alto, bassissimo. Che siano due mesi o un weekend lungo, la gita al mare non se la fa mancare nessuno. La routine estiva che segna la fine e l'inizio della stagione. Vera divisione dell'anno e del tempo della vita in barba al capodanno e al calendario gregoriano. Volendo esser cattivi si può suddividere questa massa in fuga dalla calura e dal cemento cittadino. La si può dividere in tipi sotto le quali volenti o nolenti tutti ricadiamo. Le prime ad arrivare, ed immancabili, veri pilastri dell'estate giovanile ed adulta, sono le nonne. Con la loro immota pazienza, il callo ormai duro per ogni tipo di noia, si recano ai lidi balneari al finire di asili, materne, elementari e via dicendo. Sopportano la routine quotidiana con fedeltà incrollabile. Godono della ripetizione, del lento bollore del ragù, o della conserva coi sammarzano che chiunque riprovi in loro memoria a fare finirà per credere nei poteri miracolosi dell'anzianità desistendo all'ottavo sudato barattolo. Badano a tre nipoti pur avendo due mani. Viziandoli necessariamente fino a soglie spropositate, nel solco della tradizione. L'ubbidienza irrimediabilmente connessa alle caramelle, la sveglia nel pomeriggio dopo il riposino impensabile senza il gelato. Il ghiacciolo come ultimo appiglio, perfetta distrazione per un litigio fra fratelli o cugini su una manciata di sabbia scagliata con troppa forza, una paletta rossa rotta scavando, il pallone monopolizzato. Si vede oggi anche la versione russa. Nuova etnia egemone dell'estate maremmana, vera e propria manna per le economia locali. Questa supera in mera stazza e schiettezza dei modi la nonna tedesca a cui già da decenni si era abituati. Quella che fatto il bagno si cambia il costume priva di abitudine al pudore e senza la cortesia dell'asciugamano, segnando per decenni a venire frotte di pargoli in pubertà. Il bambino russo è rasato a pelle all'arrivo alla bella villa affittata, se non acquistata. Il neonato è gettato in mare senza indugi e senza badare che sia il primo giugno o metà agosto. Le signore osservano dalla battigia le bambine bionde, tutte possibili future modelle, di cui solo pochissime troveranno una via di fuga dalle steppe siberiane. In fondo la Russia è famosa per le matriosche, bambole di legno, non ci si sorprenda quindi notando la poca delicatezza. Dopo le nonne arrivano le mamme. Si palesano a piccoli gruppi, incapaci della regolarità delle nonne. Alcune per il weekend, altre per qualche settimana, arrivano dal lavoro o dalla casa dell'amica in Versilia dove hanno finalmente speso del tempo lontane dallo stress dei figli. La principale preoccupazione è la linea. Potrebbe essere alle porte una devastante guerra mondiale, la casa al mare potrebbe essere a rischio di crollare vista la mancanza di fondi, il figlio più grande che si nutre a soli tegolini e cordon-bleu sviluppa allergie che rischiano di strozzarlo ad ogni passo o tuffo, ma lei si perde nello specchio. Si osserva col costume nuovo, a due anni dall'ultimo parto, rassegnata: non sarà mai più la stessa. Non bastano push-up e le 73 ore di palestra settimanali, non c'è niente da fare. E tutti vedranno quelle smagliature e commenteranno. La voce della più aspra giudicatrice finirà per diventare la voce con cui la bilancia stessa le parla. Venendo questa infine, dopo innumerevoli diatribe immaginarie, chiusa con scatto d'ira nell'ultimo cassetto dell'armadio. Solo fino ad un paio di giorni dopo, quando quei quattro pasti a base d'insalata e cetrioli, unico lusso una fetta di melone al mattino, rendono speranza. Al venerdì sera o al sabato mattina arrivano i padri. Spesso poco abbronzati e ancora legati alle abitudini cittadine. Scendono a metà spiaggia come ad osservare il luogo, saggiare sicurezza e livello dell'area in cui spendono il loro tempo i figli e la madre. Vogliono anche essere visti, vogliono assicurarsi che se ne registri la presenza, e si assicurano petto in fuori che se ne riconosca l'autorità. Ma si vede subito che sono fuori luogo, che non sono a loro agio. Che è più una posa che altro quel petto in fuori. Non dura molto infatti, poco dopo abbassano il capo e scendono al mare a fare il bagno. Poi ci sono i ragazzi, veri protagonisti dell'estate. I più piccoli si muovono impacciati sulla sabbia, schiaffeggiano il mare. Esplorano territori infiniti in pochi metri, vedono una nave dove c'è una canoa, un albero in luogo di un bastone. Spesso gioiosi, ma anche capaci di repentini cambi d'umore, di pianti isterici, bizze. L'energia della mattina che va via via scemando fino alla tremenda stanchezza del tramonto. Tutti innamorati degli scogli e dei luoghi pseudo lontani, vagamente ignoti: il Laggiù. I ragazzi più grandi si uniscono e isolano. Hanno abitudini e tempi differenti. Stanno all'ombra quando tutti sono al sole e viceversa. Se per qualche occasione si affacciano sulla riva nelle ore di punta, anche non volendo, infastidiscono. Urlano. Giocano a calcio a pochi metri da tutti, infervorandosi più e più lungo la partita. Bisticciano. Ridono a crepa pelle. Rendono merito ai grandi spazi della spiaggia e del mare. Al tramonto vengono definitamente fuori, si mostrano, preannunciando la notte di fughe dalla finestra, il vino, gli amori.
Lorenzo Dal Piaz (testo)