Il decimo cancello
Avendo imboccato una delle leggendarie scorciatoie conosciute solo dal Masi, ora la macchina arrancava nelle onde di fango secco, sobbalzava come una nave nella tempesta.
Da quaranta minuti cercavano di raggiungere il parcheggio della Festa dell’Unità evitando la fila.
Erano nel regno della transumanza e della prostituzione.
Non per niente sei di Torino, osservò Neri.
Uh , rispose Mario con un’alzata di spalle.
Cosa avesse prodotto quelle voragini e quegli sbalzi nel fango secco non era chiaro.
Forse è passato un circo e qua facevano il bidè gli elefanti, disse Angelo che guidava.
In effetti quello era il tipico posto in cui d’inverno arrivano i circhi. Una zona desolata in mezzo ai casermoni. Solo che in questo caso la zona desolata era grande chilometri e chilometri. Una cosa incredibile. Una distesa di terra grigiastra abbandonata, dove greggi di pecore mutanti migravano tra carcasse di auto.
E poi dicono che si costruisce troppo. Qui non hanno costruito abbastanza. Magari ci fosse una bella strada, o una spianata di cemento, disse Mario.
Quelle parole commossero Angelo, perché gli parve di leggervi un riconoscimento del proprio errore, da parte del Masi, o perlomeno un germe di dubbio circa la situazione in cui si erano andati a cacciare per colpa sua.
Il Masi sapeva sempre tutto. Su qualsiasi argomento. Era capace di spiegare per ore come si allevano i lombrichi in Iran e cose del genere.
Per fare prima ci siamo persi. Questo è l’uomo contemporaneo, disse Angelo.
Il Masifece notare che non era per fare prima, era per evitare la coda chilometrica. Loroavrebbero raggiunto la meta da dietro, con una mossa strategica geniale.
Come potesse conoscere quella periferie desolate vicino a Firenze, lui che veniva dalla barbarica Torino, non fu dato di saperlo. O forse si trovava istintivamente a proprio agio nelle pianure squallide.
Qua il fango secco modellava addirittura montagnole e fossi.
La schiantiamo, disse Angelo riferendosi alla suamacchina, che quando raschiava su qualche cresta emetteva un suono straziante, da cetaceo arpionato.
Ai confini di quell’immensa distesa c’erano casermoni già punteggiati di luci, centri commerciali, cinema multisala, fuochi misteriosi.
Non sono misteriosi, sono le puttane, disse il Masi.
E videro tantissime ruspe e gru meccaniche, ovunque all’orizzonte, davanti alla striscia violacea del cielo basso, come se si preparassero a ricostruire la torre di babele distrutta da un attentato.
Si intravedevano anche dei camion caracollare verso il crepuscolo.
Ora il brusio musicale della festa era molto più forte.
Aggirarono una baracca dilegno e lamiera.
Ecco ci siamo, urlò il Masi con l’occhio esaltato del conoscitore che trionfa. Parcheggiarono la macchina ormai distrutta e semiribaltata accanto a un groviglio diferri contorti da cui fioriva un materasso marcio. Tirarono fuori i vestiti da Festa dell’Unità dal bagagliaio e si cambiarono.
Andiamo.
Angelo per essere esatti era sempre stato un asociale, fin dalla più tenera età. I grossi assembramenti di gente lo disturbavano, soprattutto quando si divertivano. Però faceva un’eccezione per la Festa dell’Unità. Gli piaceva quel casino dove ci si abbuffava convinti di fare del bene. E come dimenticare alcuni dei migliori furti dell’infanzia, lì andati a segno. Erano i tempi in cui gli adulti giuravano che da noi i centricommerciali, queste cose assurde di cui riferivano i viaggiatoridall’America, non sarebbero mai potuti attecchire, perché ci piacciono troppo i negozietti.
Adessonon gli sembrava più di fare del bene, mangiando e rubando, aveva perso la lungimiranza dell’infanzia.
Le feste dell’Unità come tutti sannosono una trasformazione dei riti pagani di inizio estate e sono legate al rosso per via del colore delle ciliege mature. Questospiegava Mario Masi gesticolando solenne e corpulento mentre camminavano nel cuore di tenebra della folla.
Neri annuiva compito, anche se stavolta Mario scherzava. Perlomeno c’era da sperarlo.
Migliaia di persone si muovevano attorno a loro, volevano tutti le stesse cose di quelli che non andavano alle feste dell’Unità: volevano le stesse macchine, le stesse case, gli stessi lavori, le stesse vacanze, gli stessi soldi. Solo le parole e i vestiti cambiavano. Loro tre infatti se li erano cambiati all’arrivo.
Ci pensi se stasera mettessero una bomba qui? disse Neri.
L’odore di salsiccia arrosto, piadina, zucchero filato, pizza, nutella, rosticciana, croccante, uniti in una meravigliosa armonia, provocavano in Angelo la vecchia eccitazione sessuale.
Neri con sguardo pacato ed avido cercava ragazze africane.
Il Masi parlava di tutto con una tale densità di concetti che non c’era verso di capire neppure l’argomento. Non lo capiva nemmeno lui.
Sotto un tendone bianco proiettavano foto e filmati sulla guerra preventiva e la tortura, per cuipassaronovelocemente oltre.
Allo stand vegetariano c’erano un sacco di donne vegetariane. Le riconosci perché sono completamente avvizzite, sosteneva Neri. Ma loro si credono bellissime. Si vede che la dieta vegetariana modifica la loro percezione della realtà. Non si accorgono di essere disidratate fino alla mummificazione. Probabilmente i ravanelli o i broccoli contengono un qualche allucinogeno permanente.
Si erano seduti a mangiare una pizza e a bere una birra.
Secondo me il problema dei ragazzi di oggi è che non ci sono abbastanza armi in giro, è per questo che siamo indietro rispetto all’America, diceva Angelo.
Raccontavaquello che era successo la mattina nella scuola dove insegnava. Era stato accolto dall’esplosione di un accendino tirato giù dalle scale. L’accendino era esploso vicino a una ragazza che si era spaventata parecchio e simulava delle risatine che erano quasi singhiozzi.
E in classe c’era un ragazzo col cappuccio nero della felpa tirato sempre su, chestavazitto, teneva la testa bassa e ascoltava la musica in cuffia. Si intravedeva solo il suo volto pallido e foruncoloso. Non veniva interrogato né niente. Le professoresse dicevano che era meglio così, almeno non disturbava. Angelo in sei settimane non l’aveva mai visto sorridere.
Secondo me il problema dei ragazzi di oggi è che non ci sono abbastanza armi in giro, ripeté Angelo. Quando ce ne saranno, per via della legittima difesa e cose simili, allora succederà come in America che i ragazzi vanno a scuola e fanno le stragi.
Mario rideva, Neri sorrideva.
Le pizzealla fine erano state due a testa, come le birre.
A un banchetto avevano firmato per una nobile causa.
Poi si erano rimessi in cerca di qualcosa di non identificato, cibo o donne.
E’ un po’ come alle grandi manifestazioni, disse Angelo. Tu ci vai ed è come andare a messa o confessarti, ti dà soddisfazione. Poi fai tutto come prima.
Meglio andarci che non andarci, obbiettò Neri.
Sì, fece Angelo, ma dico solo che anche alle grandi manifestazioni alla fine la gente s’avventa sul cibo. E’ quello il senso finale.
E poi ripeterono le frasi di sempre: che non era solo la questione del cibo, che tutta la loro vita era una grande abbuffata. Ognuno di loro succhiava incessantemente una quantità di energia incredibile, con la benzina, con la luce elettrica, con la televisione, colcomputer, col frigorifero, col telefonino e perfino col telecomando del cancello. Magari proprio in quel momento un villaggio di pastori in Asia veniva bombardato. E perché? Per illuminare pochi metri di Las Vegas, o per permettere a loro tre di giocare alla play station, o per realizzare un documentario contro i bombardamenti.
Mario intervenne con una loro frase classica che sintetizzava tutto questo: Uh, ogni volta che pigi il telecomando del cancello o della televisione tu voti per la guerra.
Ripassarono davanti allo stand dove proiettavano fotografie sugli orrori della tortura democratica e questa volta si sedettero, giusto per finire lo zucchero filato.
E poi erano immagini che prendevano.
Io mi stupisco che la gente si stupisca, disse Angelo. Secondo me fanno finta.
Le figure sembravano uscite da un fumetto sadomaso disegnato da uno della santa Inquisizione.
Il Ku Klux Klanè al potere, urlò Mario sputacchiando allegramente .
Ripresero le solite discussioni. Qualcuno sarebbe mai venuto a salvarli? E da dove? Da fuori no di sicuro. Magari da dentro. E poi da cosa dovevano essere salvati? Dall’indigestione?
Dovremmo fare qualcosa, disse Neri col suo tono assennato.
Ma cosa? Non gli veniva mai in mente nulla.
Purtroppo questa volta gli venne in mente.
Dovevano fare qualcosa, si erano detti. Era andando a prendere una crepe alla nutella che gli era venuta l’idea geniale.
Siamo tutti colpevoli, aveva detto Angelo. Siamo qui, con la bistecca che ci penzola dalla bocca. Non ci vengono bene i gridi di protesta, con la bistecca penzolante. D’altra parte era lui che più di tutti tra i tre usava il telecomando, il videoregistratore, viaggiava, consumava benzina.
E così era venuta fuori la storia del gioco del condannato a morte.
Del resto erano sempre rimasti un po’ giocherelloni. La vita non aveva scalfito questo aspetto. Anzi, gli orrori che arrivavano dal mondo in forma di conturbanti fantasmi televisivi avevanopotenziato questa loro caratteristica.
E così Angelo era stato imprigionato nella baracca abbandonata vicino a cui avevano parcheggiato. C’era andato ridendo, di sua spontanea volontà, masi era un po’ preoccupato quando l’avevano legato davvero a una rete pesante, con del filo di ferro trovato per terra.
Ragazzi, complimenti, sembrate dei veri carcerieri professionisti, diceva Angelo.
Loro ridevano senza guardarlo. Ora ci impegnamo, ora vedi, dicevano.
Era divertentissimo.
Gli aguzzini mostravanoil volto, quello di sempre, certi dell’impunità. Era il volto del condannato ad essere coperto.
Gli portavano cibo.
Scherzavano, ridevano, sollevavano il pollice, cercavano di rendersi simpatici. Bisognava apprezzare lo sforzo, perché in quella situazione non era facile.
Anche lui cercava di scherzare e di ridere.
Sarebbero stati loro a eseguire la sentenza.
L’unica cosa che avrebbe potuto salvarlo era una chiamata: l’intervento del Governatore.
Aveva chiesto di tenere il telefonino, per chiamare la sua ragazza. Ma loro, sempre allegramente, avevano detto che non era possibile.
I veri condannati a morte non hanno questa possibilità.
Tutto era iniziato come una farsa, un gioco. Ma le cose erano cambiate velocemente. Se Mario e Neri nella vita avessero letto meno interventi illuminati sulla durezza della vita nelle carceri, sarebbe stato molto meglio per Angelo. Ma ora gli aguzzini riversavano tutta la loro sensibilità sociale sul condannato.
La grazia era la sua ultima speranza, come nei film americani.
Non scherzavano più.
Le loro facce avevano qualcosa di diverso, un velo sugli occhi che segnalava una distanza.
Ogni tanto sparivano con aria di grande importanza, come se aspettassero la chiamata del Governatore.
Andavano a vedere le foto e i filmati della tenda bianca, per ispirarsi.
Poi tornavamo e mimavano le torture su Angelo. Non gli facevano male, le mimavano e basta. Al massimo gli orinavano vicino.
Ma Angelo stava scomodissimo, era costretto a stare in ginocchio ed era pieno di graffi.
Il Governatore esisteva sul serio, da qualche parte, Angelo non sapeva esattamente chi fosse, non era stato lui a nominarlo. Però dal tono delle conversazioni pensava di averlo capito. Doveva essere il Sequi, che aveva insegnato letteratura italiana per diversi anni in America. Una sua frase storica era : Ti ricordi le feste degli anno Ottanta? quelle i cui entravamo col preservativo già infilato?
Il filo di ferro che gli martoriava i polsi non era poi inestricabile, questo poteva voler dire che essendo spiriti illuminati non sapevano fare i nodi, ma anche che era tutto davvero solo uno scherzo, era lui che l’aveva preso troppo sul serio. La baracca era puzzolente, buia, marcia, orribile. Angelo cercava di allentare i nodi contorcendosi come un polpo nella bocca della murena.
Però Mario, chearrivava in quel momento con uno sciroppo alla menta, prese un pietrone e glielo tirò sulla gamba.
Angelo quasi svenne per il dolore.
Uh, così ti passerà la voglia di sciogliere i nodi, disse Mario imitando la voce di un cattivo da film, con una crudeltà artefatta.
Dobbiamo sorvegliarlo di più, per il suo stesso bene, disse Neri, con la voce da prete portatore di civiltà.
Angelo si sforzò di ridere per chiarire che ancora era tutto uno scherzo. Venne fuori solo un lamento che gli rimbombava nello stomaco.
Bè, ora basta, disse, devo telefonare a casa.
Ma ci vuole un tono di voce davvero convincente per cambiare la realtà.
Non reagirono.
Li vedeva sul vano della porta, di spalle. Erano forme nere che tacevano.
Ormai era notte. La luna sorse sugli escrementi in cui Angelo si rotolava. Infatti nonlo avevano slegato per permettergli di fare i suoi bisogni. Il carcere non era un albergo, e lui era un tipo pericoloso, per sé e per il mondo. Oranon si allontanavano più lungamente in coppia, ma rimaneva sempre uno a sorvegliare, con una spranga di ferro che era stata la gamba di un letto.
Se si allontanavano in coppia era per poco, per telefonare e confabulare.
Il Masi gli comunicò che il Governatore aveva preso una decisione che lo riguardava.
Ecco, finalmente lo scherzo è finito, sperò Angelo. Il Governatore mi dà la grazia e tutto finisce e io torno a casa. Infatti una delle cose che più lo turbava era che la sua ragazza si preoccupasse, non vedendolo tornare e non ricevendo sue notizie. Il suo cellulare aveva squillato due volte ma i carcerieri non avevano risposto e alla fine lo avevano spento.
Neri con voce pacata disse:
Il Governatore ha decretato che la decisione sarà affidata a una giuria popolare, ma sarà una giuria inconsapevole. Questo ci pare sommamente giusto e democratico, aggiunse con una voce e uno sguardo ironico che gli ricordava il Neri dei vecchi tempi, quello con cui scherzava e si intendeva al volo.
Poi però il volto tornò quello impenetrabile del secondino in un carcere sotto organico.
Come funzionerà la giuria inconsapevole?
Tu parli solo se interrogato, delinquente, sibilò il Masi. Questa volta gli pisciò in testa.
Neri, benigno, spiegò:
Sarà l’apricancello a decidere. Il Governatore è già uscito e girerà per un’ora, in macchina, per lestrade del suo quartiere. Dobbiamo ammirare il suo senso del dovere, il suo sacrificio. Tu sei qui che poltrisci, lui lavora. Se entro un’ora avrà visto almeno dieci persone rientrare a casa usando il telecomando del cancello, la condanna a morte sarà eseguita .
Il Governatore abitava in una zona collinare lussuosa, non troppo lontano da Angelo, ed era terribilmente probabile che in quella zona di ville tutti usassero il telecomando. Dunque era inutile sperare.
Gli sgherri lo rimpinzavano a forza. Ora erano tornati con rotoli di liquorizia. Neri stava poco distante con la spranga, pronto a colpirlo, piano ma sulla testa, quando Angelo si comportavamale. Mariogli ficcava in gola la liquorizia.
Se fosse arrivato qualcuno a salvarlo? Ma Mario ripeteva: ne vuoi ancora? Mangia! E da lontano sembravano degli amici ubriachi che si divertivano, una cosa goliardica.
I secondini parlavano della festa, tranquilli. Si ritenevano normali e il peggio è che lo erano.
Erano incerti sulla modalità dell’esecuzione. Non erano molto pratici. Di libri contro la pena di morte ne avevano letti tanti, ma quello non basta. Le immagini della tenda bianca offrivano un sacco di spunti, ma loro non avevano ancora deciso. Dato che non avevano elettricità, o armi da fuoco, propendevano per il soffocamento oppure potevano prenderlo a pietrate.
La lapidazione, un classico, disse Mario, e a mo’ di esempiogli spaccò il naso con una pietra.
Angelonon voleva urlare, perché se avesse urlato avrebbe sancito una volta per tutte che non era una finzione. Però cominciò a urlare e a chiedere aiuto.
Neri e Mario si misero a ridacchiare. Ma chi credi che ti senta, con tutto questo casino. Infatti era iniziato un concerto.
Una coppia distesa in terra a una ventina di metrisentì qualcosa, il ragazzo alzò la testa, ma la ragazza infastidita disse: ci sono dei pervertiti, andiamo da un’altra parte.
Gli portaronocinque hot dog e dovette trangugiare anche quelli.
Sarebbe morto di indigestione.
Angelo si accorse che era arrivato qualcuno, oera sempre stato lì. Era un’ombra, rannicchiata fuori, di là dalla pesante rete rugginosa a cui era legato. Il proprietario della baracca, o uno che ci dormiva. Emerse come una tartaruga dal letargo: era un ragazzino, una specie di scimmia gracile.
Aiutami, disse Angelo, voleva parlare normalmente. Chiama la polizia. Mi stanno uccidendo. Piagnucolò, impressionato dalle sue stesse parole.
Quello non si muoveva.
Ti prego, disse Angelo.
Che vuoi? rispose alla fine il ragazzino.
Dunque accettava di aiutarlo. Angelo era salvo. Gli ripeté che doveva andare dalla polizia.
No, rispose il ragazzino, la polizia no.
Alloradisse che doveva chiamare la sua ragazza. Gli spiegò quello che doveva fare.
Solo che in quel momento il ragazzino emise uno strano rantolo. La tremenda sprangatadi Neri sulla testa lo fece prima sollevare un poco e poi stramazzare a terra dove, un attimo dopo, fu raggiunto dalproprio sangue.
Era complice di un condannato a morte, commentò graveMario. Non c’è stato neanche bisogno di interrogarlo.
Quando gli portarono delle altre piadine Angelo ripensò ai ragazzi a scuola. Fin dalle nove del mattino cominciavano a pensare al cibo con un’avidità patologica. A volte compravano i panini già all’entrata e poi li guardavano per ore, con desiderio, accatastati sul banchino delle merende. Non riuscivano a resistere a nulla, se avevano appena appena voglia di pisciare e il bagno era occupato si disperavano, qualsiasi bisogno gli risultava impellente, insopportabile. Chissà cosa sarebbe successo quando sarebbero tornati i tempi duri. Perché i tempi duri tornano sempre.
Il Governatore girava per lameravigliosa collina piena di luci potenti come la paura dei derelitti asserragliati in ville fortezza, fari che succhiavano l’energia da paesi martoriati e facevano impazzire fino alla morte gli uccelli notturni. Dietro enormi cancelli spettrali covavano parchi smisurati, con una tale varietà di piante misterioseda garantire ad ognuno la sua brava allergia.
Infatti il Governatore starnutiva e tossiva.
Erano già nove gli apricancello che aveva visto in azione. Mancava unquarto d’ora alla fine del tempo.
Quandoaveva ricevuto la telefonata, non aveva capito che razza di gioco fosse. Ma per l’appunto stava venendo via da una cena con la sua ragazza, rigurgitante di cibo e di alcool, e gli era piaciuta l’idea di farsi un giro prima di mettersi al computer.
Io sono il Governatore, le aveva detto. Lei lo aveva guardato senza capire, poi aveva vomitato dal finestrino.
Certoil Governatore non sospettava che facessero sul serio. O forse sì. Dentro di sé era attirato proprio da quella possibilità, per quanto pazzesca. Che davvero lui potesse decidere della vita e della morte con la sua sola parola. Poi gli era venuta in mente l’idea della giuria popolare involontaria e a questo punto, anche se era un po’ stanco, non si sentiva di imbrogliare. Era un uomo giusto. Si sarebbe attenuto alle regole. Le regole innanzitutto.
La sua ragazza ormai dormiva.
Lui guardava i cancelli.
Angelo gemeva. La gamba gli faceva un male del diavolo. Doveva esserci un livido oceanico.
Era passato un tempo lunghissimo, daquando tutto era cominciato.
Eppure era ancora notte. Incredibile.
Qualcuno manipola il tempo, concluse.
Tornarono. A quanto poteva capire avevano conosciuto delle ragazze e nutrivano delle speranze, per questo andavano via così spesso, e per di più in due, come all’inizio dei tempi. Angelo gli chiese dell’Aulin. L’Aulin ormai te lo danno anche se devi prendere l’autobus, aggiunse, per fare lo spiritoso, era una frase che ripetevano sempre.
Ma Neri non abboccò all’amo della frase comune, che avrebbe potuto restituire una certa complicità alla situazione.
Tu non devi prendere l’autobus, tu resti qua, rispose.
Pensava alle colline lontane. Non a quelle seminate di luci, dove si stava decidendo la sua sorte, ma alle colline nere dove non c’è nessuno.
Porco mondo, santi numi
il mio corpo va in frantumi.
Poteva anche darsi che la sua condizione fosse quella che meritava.
I due aguzzini eranotornati alla festa, per cercare ispirazione riguardo alle modalità dell’esecuzione, per parlare dei problemi del mondo, o per baccagliare le due ragazze, o per fare le tre cose insieme. Magari le due mignotte, col favore della penombra non si sarebbero accorte troppo presto della bruttezza dei due figuri, che così avrebbero perso tempo e lui intanto poteva tentare qualcosa.
Ma cosa?
In quel momento il cadavere del ragazzo bastonato si mosse e aprì gli occhi.
Se si trattava di uno zombie destato dalla luna, era in uno zombie che Angelo doveva riporre le sue ultime speranze.
La testa insanguinata si sollevò, respirava roca dall’altra parte della rete.
Angelo gli aveva già spiegato tutto, prima: doveva scappare via e telefonare alla sua ragazza. Sperò che se ricordasse. Si contorse come una lucertola presa al cappio, premette il sedere contro la rete, senza dir nulla.
Lo zombie protese la mano adunca e frugò nella tasca prendendo la chiave della macchina.
Tornando con un frullato multivitaminico, Neri e Mario fecero appena intempo a vedere la macchina che se la filava sobbalzando sbilenca tra i dossi di fango secco.
Ci hanno fregato la macchina, ridacchiò Mario.
Non aveva importanza, tanto loro dovevano rimanere lì per il gioco. Gli sembrava che da quel gioco dipendessero i destini dell’umanità.
Il ragazzo filava ferito e felicenelle selvagge distese della transumanza e della prostituzione. Aveva una nuova macchina. Non ci pensava neanche a chiamare la casa di quello là. Se lo avevano legato, certo c’era un motivo.
Il Governatore era davanti al decimo cancello, era proprio la casa del suo amico Angelo. In quel momento arrivò una macchina. Chissà se il cancello si sarebbe aperto automaticamente. Il Governatore sentì il cuore accelerare. Che stupido. Doveva stare tranquillo. Era solo un gioco. Comunque andasse, che importanza poteva avere?
Enzo Fileno Carabba