Ferrania Color

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Il tipo mi ha chiesto dove avrei voluto essere lasciato. In circa tre ore e mezzo di viaggio questa era la quarta volta che mi diceva qualcosa. Mi è preso un leggero senso di panico, come di acqua alla gola, perché non lo sapevo. 

Al casello di Firenze-Certosa, appena salito sulla sua Fiat 500 color giallo-senape, lui aveva detto di avermi preso per non rischiare di addormentarsi durante la guida. Una 500 a piú di settanta non va e in autostrada è come essere fermi. E questa era stata la seconda cosa che mi aveva detto. Mentre la prima era quella di quando lui arrivato al casello, e fermandosi a prendere il biglietto, per rispondere a me, che gli chiedevo se andava a nord, verso Bologna, aveva detto che andava a Roma. 

L’altra, la terza l’ha detta quando mi ero seduto con lui in macchina: che andava a Roma per il corso da allievo sottoufficiale nei carabinieri… Non è che ci andavo anch’io per lo stesso motivo? 

Ho fatto segno di no, e da quel momento non ha detto altro. Si vede che dovendo scegliere tra il rischio del colpo di sonno e la compagnia di uno che non sa dove vuole andare, aveva preferito quest’ultima.

 

Ho detto Trinità dei Monti perché è uno dei posti che tutti hanno in mente. Solo che quando ha accostato, io la scalinata non l’ho vista.

Gli ho chiesto dov’era e lui ha fatto segno che era lí, oltre il marciapiede. 

Una volta sceso di macchina e riguadagnata la posizione eretta, Trinità de’ Monti finalmente l’ho vista. Vista dall’alto. Mi trovavo in cima e la scalinata si distendeva di sotto, plastica e imponente nella sua rigidità di marmo.

Mi sentivo stordito e con le gambe anchilosate e ho cominciato a scendere da lí facendo attenzione a dove mettevo i piedi. Ché fracassarmi adesso una caviglia non era il caso. 

Mi sono poi fermato circa a metà della prima rampa. Da lí con un unico colpo d’occhio si dominava tutto quello che c’era sotto: la parte sottostante che scendeva ripida fino alla piazza con la fontana giú in basso. 

Non c’era nessuno lungo tutta la scalinata e l’ora era quella perfetta del tramonto di una giornata che oggi a Roma doveva essere stata perfetta. In cielo non c’erano tracce di velatura e l’aria, per essere a fine gennaio, era tiepida già da primavera un pezzo avanti. In quello stesso momento a Torino c’era ancora il Generale Inverno a comandare e dal freddo si pestavano i piedi. Ma un tramonto bello come questo che stavo vedendo adesso era un da parecchio che non mi capitava. Mi sono perciò seduto su un gradone e ho tiratofuori il Drum per arrotolarmi una sigaretta. 

Per non so quanto tempo sono rimasto a guardare la curva del sole cadere in lenta perpendicolare fra i due palazzi di fronte, fino a che il rosso-arancione del sole, sempre piú intenso, oltrepassata la linea dei tetti, ha continuato a splendere anche tra i palazzi di Via del Corso, incendiando sia la strada che la prospettiva dietro ai due edifici: che per contrasto si abbuiavano alla vista sempre di piú. 

L’angelo nella mia testa è adesso che ha cominciato a farsi sentire: e ora che cazzo si fa? Gli ho risposto: non lo so, non mi stressare adesso... stiamo a vedere se succede qualcosa...

 

Ero seduto a ridosso del parapetto di destra, che scendendo assieme alla scalinata piegava curvando verso destra convergendo diversi metri piú in basso con l’altra ala della scalinata, verso il terrazzone metri piú sotto. Parevami straordinario che ci fossi io solo a godermi il momento. Anche se poi il tramonto, si sa, non è altro che un effetto dovuto alla rifrazione… ché se uno – Dio per esempio – decidesse di andare e/o volare verso ovest a velocità costante potrebbe prolungare lo stesso fenomeno all’infinito, teoricamente fino alla fine dei tempi: un unico eterno tramonto, se costui non avesse che questo come scopo ultimo... Solo che dopo un po’ la cosa potrebbe cominciare a essere noiosa, con il sole inchiodato sempre lí allo stesso punto sull’orizzonte. Forse potrebbe venirgli voglia di variare la storia, per esempio rallentando il proprio running fino a farlo finire e vedere il sole finalmente andar sotto, oppure all’estremo opposto, riportare indietro rispetto a se stesso il fenomeno, aumentando la propria velocità, sempre verso ovest, vedendo il fenomeno regredire fino a ritrovarselo, il sole, in verticale perfetta sulla propria testa. E poi ancora alle spalle, e sempre continuando cosí, fino a ritrovare l’alba e poi la notte e alla via cosí, fino a veder sorgere il sole a occidente... Ma mi sa che sto sbagliando qualcosa: il sole non dovrebbere sorgere a occidente... Di fatto alba e tramonto non sono che nomi diversi di una stessa illusione: il sole non sorge e non tramonta, sono solo dei modi di dire da pedestri terrestri. Al sole poi nemmeno frega di far luce a qualcuno...

E mentre ero lí che me la stavo smenando con queste considerazioni sul fenomeno noto come rifrazione: che all’alba e al tramonto, un raggio solare attraversando – rispetto a chi guarda – uno strato di atmosfera piú spesso che a mezzogiorno, e che di conseguenza i raggi crepuscolari sono maggiormente deviati se paragonati a quelli di mezzogiorno e che inoltre, dovendo i raggi del sole fare più strada al crepuscolo, la componente blu/viola viene completamente diffusa, e quindi dispersa, dalle molecole atmosferiche... e il risultato è un Sole rosso-arancio con intorno un fiammante cielo che ne fa da cornice, le cui tonalità dipendono dalla composizione chimica dell’aria (presenza di pulviscolo, vapor acqueo, inquinanti, ecc). Mentre a questo stavo pensando, Ferrania, una tipa col nome di una macchina fotografica, è venuta a sedersi qualche gradone sotto al mio.

 

Riccardo Subri

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