Guest Artist in Residence: Andrea Conti
Musei, università e altre cosiddette istituzioni culturali lo fanno. Anche le aziende commerciali possono invitare artisti a seminare il caos in un ambiente pulito e sicuro. Nello spirito dei ristoratori illuminati che danno un piatto di spaghetti a tipi creativi in cambio di opere da appendere alle pareti del locale, la Gestione dell'Hotel Kranepool presenta un nuovo programma: Guest Artist in Residence.
Accetto l'invito, e mi dirigo al Kranepool, immerso nella campagna, con la mia vecchia Picasso color sable. Giungo ad un grosso cancello.
Varcato l'ingresso, mi si presentano strade sterrate che si diramano all'interno di un bosco, per poi finire in un ampio prato dai verdi infiniti.
Dopo aver percorso diversi chilometri, arrivo dinanzi all'entrata principale di un bizzarro edificio a forma di turca, proprio quella dei cessi pubblici, perlopiù.
Appena entrato, mi trovo in un ambiente colorato, kitsch. L'arredamento è un eclettico mix, tra dadaismo e metafisica. Sembra di percorrere un film a disegni animati.
In filodiffusione le canzoni di Tom Waits mi accompagnano. Ad un certo punto il mio sguardo carpisce il tutto facendomi girare la testa a velocità Girmi, sono come un pazzo arbitro di tennis.
Vado alla reception. Una coppia darkeggiante sfila silenziosa, sembra come un neo mobile in un quadro astratto. Arrivo dritto da un tizio con gli occhiali che se ne sta dietro un bancone in marmo e metallo dorato, con in basso incastonato un enorme orologio. Accanto a lui, sopra il pianale, una scultura di un pescatore asiatico dorato, almeno credo.
Mi porge la chiave della stanza numero nove. Mi viene offerta la colazione. Intanto "Life on Mars" in sottofondo...
La colazione consiste in un boccale di Brandy accompagnato da biscotti scozzesi al burro. Pesano come lingotti.
Sono disorientato, mi garba tutto ciò, tanto da scordarmi l'essere fortemente intollerante al lattosio.
Dopo pochi minuti sono in preda a fortori, e strizzoni che mi dissestano l'intestino. Ramones in sottofondo, per l'appunto " Hey Ho Let's Go", che mi carica di spirito di sopravvivenza. Cammino veloce, cerco un cesso.
Vedo le entrate dei bagni. Davanti a quello delle donne vi è una bellissima signorina di colore che mi sorride. Indossa un vestito elegante: un modello Fendy ma africaneggiante anni '60.
Avrei parlato volentieri con lei, ma mi sto cacando addosso.
Noto l'entrata di un cesso oltre a quelle classiche, con la scritta "Toilette Intollerant". Sul muro, una enorme libreria con cartelle e testi antichi posti alla rinfusa
Entro deciso, spalanco la porta, sono quasi al novantesimo e temo non ci saranno minuti di recupero, ah! mha! mi trovo in un salone colorato, ohiohi i dolori son sempre più forti, il pavimento fuxia sembra stoffa porcellanata, le pareti a rettangoli sono quasi acquamarina, il tutto mi ricorda la stanza delle torture del film Brazil di Gilliam.
Nel mezzo un grosso, finalmente, cesso che ricorda il pisciatoio di Duchamp. Non ci sono odori nonostante si possa vedere in basso, attraverso il pavimento in vetro colorato, le ombre degli scarti organici ai quali finalmente sto aggiungendo i miei. Mi libero e guardando in basso, grazie al colore del pavimento, mi sembra di vedere un grosso lavoro alla Pollock.
Fatto tutto, la musica degli Estrunzende Neubauten mi accompagna fuori, e mentre richiudo la porta mi accorgo di un cartello appeso. Spiega un meccanismo geniale che permette con un sistema spaziale di raccogliere ed elaborare l'organico che a sua volta attraverso canali viene sparso come concime per tutto il parco circostante l'hotel.
Finalmente arrivo in camera, un arredamento in bianco e nero, come nei film di Hitchcock. Devo fare la doccia, poi nel pomeriggio parteciperò ad un torneo di cricket a cavallo, anzi sono in dubbio con un match di tennis in bici...
Ps: che bellezza ci sono vinili ed un giradischi. Per iniziare metto i NiN...
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Guest Artist in Residence: Andrea Conti
Museums, universities and other so-called cultural institutions do it. Commercial establishments may also invite artists to wreak their havoc in a safe, clean environment. In the spirit of those enlightened restaurateurs who give creative types a spaghetti dinner in exchange for art to hang on their joint's walls,. Hotel Kranepool’s Management presents its new Guest Artist in Residence Program.
Delighted to be invited, I head to the Hotel Kranepool, deep in the country, in my old sand-colored Picasso. I arrive at a huge gate.
Once inside, dirt roads fork off into a forest, which yields to wide fields of infinite greenery.
A short while later, I arrive at the main entrance of a bizarre structure in the shape of a Turkish toilet, like the ones in public bathrooms.
I walk into a colorful, kitschy atmosphere. The decoration is somewhere between Dada and Metaphysical. It’s like entering a cartoon.
They’re broadcasting Tom Waits songs from every angle. It makes my head spin like a blender. I feel like the referee in a crazy tennis game.
I head to the Reception desk. A goth couple walks by in silence, like some mobile piece of neo-furniture in an abstract painting. A guy wearing glasses is behind the marble-and-brass counter, which has a huge clock embedded in it. Next to him, on a shelf, is a gilded sculpture of some Asian fisherman, I think.
He hands me the key to room 9. Breakfast is being served, with “Life on Mars” as the soundtrack...
Breakfast is a mug of brandy, and Scottish sandies as heavy as ingots.
I’m disoriented. I’m digging all this so much that I forget I’m lactose intolerant.
After a few minutes, I cramp up. My intestines feel like they’re being squeezed out of commission. The Ramones are the background noise: “Hey Ho Let’s Go”. This amps my survival instinct. I walk fast, in search of the toilet.
There are the entrances. In front of the Ladies’ is a lovely person of color. She’s wearing an elegant dress: some African-themed Fendy creation from the 60s. She smiles at me.
I would’ve liked to stop and chat with her, but I’m about to crap myself.
There’s a third toilet door next to the traditional ones. The label says “Intolerant Toilet”. There’s a huge bookshelf next to it, packed with ancient tomes and scrolls in no particular order.
The pain’s beyond belief. I head in, at my utmost limit. The room’s insanely colored. The fuchsia floor looks like porcelain fabric, the rectangular walls are nearly aquamarine. It looks like the torture room in Terry Gilliam’s Brazil.
In the middle of the room, thank God, is a huge toilet, reminiscent of Duchamp’s urinal. There’s no stink, but through the stained-glass floor, you can see moving shadows of organic waste, to which I blessedly add my own. Emptied, I watch the show below. It’s like some Pollock masterpiece.
Business concluded, the music of Einstrunzende Neubauten accompanies me back out into the hotel. I stop to read the sign on the bathroom door. It explains the genial mechanism which distributes organic waste as fertilizer for the park that surrounds the Hotel.
The décor in my room is black and white, like in a Hitchcock film. I need a shower. In the afternoon, I’m scheduled to play in a tournament of cricket on horseback, or bicycle tennis, I forget...
P.S. Oooh lovely, there’s a record player and plenty of vinyl disks. I start off with NIN.